Tra le ore che diventano giorni si intreccia la storia di quattro donne

Tra le ore che diventano giorni si intreccia la storia di quattro donne

ROMANZO

Tra le ore che diventano giorni si intreccia la storia di quattro donne.

La profonda connessione che c’è tra le donne è ciò che celebra Le ore di Michael Cunningham.

9 AGOSTO 2021 – ROMA

ROMANZO

Le ore di Michael Cunnigham. Ecco la mia recensione.

Alla prima lettura non avevo decisamente compreso il senso di Le ore di Michael Cunningham; in realtà (differentemente da come di solito mi capita), non ricordo la sensazione che ho provato quando l’ho acquistato, e nemmeno il perché io l’abbia scelto. Probabilmente credo fosse proprio per il mio volere leggere il libro di un autore che non conoscevo; infatti Le ore è il primo romanzo di Michael Cunningham che leggo.

Il titolo ovviamente suggerisce un tema importante che è appunto quello del tempo, del suo scorrere più o meno lento, del suo concederci di fare o non fare determinate esperienze, o di vivere esattamente quelle emozioni che solo la sua abbondanza o assenza, è in grado di farci provare.

Le ore, e per estensione il tempo fatto anche di istanti (si pensi alla scena della finestra e di Richard), costituiscono ovviamente un nodo significativo nelle vicende che Cunningham intesse e ci narra. 

Viene da chiedersi se sia il tempo a governarci, o se siamo noi a governare lui, chiudendolo in un orologio da taschino; come era costume all’epoca di Virginia Wolf, che muore suicida nel 1941.

Nemmeno io in un primo momento avevo capito la reale connessione che c’era tra le tre donne, le tre protagoniste di Le ore di Michael Cunningham, e onestamente non mi era affatto chiaro il perché uno scrittore scrivesse di una “storia nella storia”(neanche stessimo guardando Inception, film che tra l’altro amo profondamente!), eppure lo fa, e ci riesce conquistando prestigiosi riconoscimenti come:

  • Premio Pulitzer 1999 per la letteratura
  • il Pen/Faulkner Award
  • il Premio Grinzane Cavour 2000 per la narrativa straniera.

L’autore prende a soggetto proprio Virginia Wolf, “ritratta” mentre scrive il suo celebre romanzo: la Signora Dalloway. Ed è proprio quello stesso romanzo che Laura Brown porta con se nel giorno in cui decide di evadere della sua vita, chiudendosi in una stanza d’hotel con un libro, quel libro. E che per ironia (letteraria) è esattamente il nomignolo che viene scelto per Clarissa Vaughan dal suo caro Richard. Il tutto si intreccia alla perfezione, dando quasi l’impressione che nella realtà i fatti possano effettivamente essersi svolti in questa maniera, e che così potranno ripetersi uguali a se stessi, in maniera ciclica, negli anni a venire.

E c’è anche lei,, Clarissa non più la signora Dalloway: non c’è più nessuno a chiamarla così…
E a un’altra ora davanti a sé.“venga, signora Brown,“ dice. “È tutto pronto.“

Con queste parole Cunningham sceglie di sottolineare nell’ultima frase di Le ore, quella che è la ciclicità del tempo, quello che è il chiudersi di un cerchio che è arrivato al suo giro conclusivo con la morte di Richard e che, forse ha un nuovo inizio, in un rapporto che fino al capitolo conclusivo non era stato introdotto: quello tra la donna che ha amato Richard e quella che lo ha messo al mondo. Così che oltre ad essere unite dalla “fantasia” di Richie, ora forse lo sono anche perché le loro! di vite effettivamente sono affini.

 

Naturalmente, no: lei vuole essere amata.

Laura e Clarissa sono sí due donne diverse e con età diverse, eppure entrambe hanno provato (l’una) e provano (l’altra), quella che è l’insoddisfazione di una vita vissuta in maniera ordinaria, essendo private entrambe del loro vero amore, dell’amore verso se stesse e verso la vita in generale.

Ecco, la vita, questo è davvero l’argomento verso il quale Michael Cunningham ci invita a rivolgere il nostro pensiero. La vita con tutto ciò che la rende tale!

La vita che scorre mentre rinunciamo alla nostra natura, per assecondare lo stereotipo che ci impone di essere in un determinato modo (Laura che in realtà ama _————), la vita alla quale rinunciamo in maniera estrema perché non la vogliamo più (Virginia che sceglie di suicidarsi), la vita dalla quale vogliamo fuggire perché priva di emozioni degne di essere vissute (Clarissa che preferisce ricordare un passato che poteva essere e non è mai stato).

Ha tre anni più di lui (c’è qualcosa di vagamente indecoroso in questa differenza, qualcosa di vagamente imbarazzante).

Di questo leggiamo: di pezzi di vita di queste tre donne che vivono in momenti diversi, in età diverse, in luoghi diversi, in realtà diverse. Eppure tutte e tre hanno l’animo tormentato, perché non c’è alcun amore travolgente che si impossessa del loro cuore, donando, a ciascuna di loro, la vita che tanto desiderano.

“Ti amo” è abbastanza facile. “Ti amo” è diventato quasi ordinario.

É questo anche un tema significativo in cui ci imbattiamo, l’amore; tanto nella sua assenza o freddezza (Laura e il marito; Clarissa e Sally), quanto nel non essere corrisposto (Richard & Clarissa), quanto ancora nella sua manifestazione infelice o superficiale tra persone dello stesso sesso (Richard e i suoi amori tra cui Louis; Laura e la sua vicina di casa; Julia e Mary; Louis e Hunter).

Oppure ancora l’amore incerto di una madre verso il figlio e di un figlio verso la madre…

Mamma ti amo

…e l’amore che non sboccia (Clarissa e Louis), a dispetto della volontà di unirsi anche in quella maniera.

E mentre l’amore unisce, la sua assenza crea distacco e voglia di evadere, di andare altrove, di fuggire. Ed ecco che incontriamo un altro tema: quello della fuga.

Lo incontriamo quando Virginia si uccide (seppur nel romanzo non è descritto l’evento il lettore ne è comunque consapevole), quando va in stazione per fuggire da Charleston. E ancora quando Laura prende una stanza in hotel per fuggire dal suo quotidiano (ci resta infatti per poche ore, in compagnia del libro della Wolf), o quando Clarissa fantastica su quella che avrebbe potuto essere la sua vita se… E ovviamente il gesto estremo e teatrale di Richard che sceglie di volare via, da quella che era la prigione della sua malattia, del suo corpo, della sua casa, della sua vita e persino della sua stessa arte.

(…) e che se ne andasse vi sarebbe felice, o più che felice. Sarebbe se  stessa.

La morale che colgo in questo intreccio di tormenti, a prescindere che l’autore volesse comunicarcene una, è questa: che la vita è una, che la vita va vissuta esattamente come vogliamo e con chi vogliamo, e al massimo dell’intensità di eventi, esperienze ed emozioni che siamo in grado di custodire in noi mantenendo quell’equilibrio che abbiamo costruito mattone dopo mattone per tutta la nostra vita. 

Odia trascorrere le sue ore buone a fare qualsiasi altra cosa che non sia scrivere.

Fatto questo, è sano tanto guardare al passato sia con affetto che con nostalgia, ma il nostro obiettivo più grande è la concretizzazione di un futuro che al massimo può superare le nostre aspettative, ma mai esserne al di sotto.

E per tutto ciò che la vita ci riserva, che non era in programma e che mai avremmo immaginato ci capitasse, accogliamolo e facciamo anche di questo, qualcosa di straordinario, così che nel complesso l’intera nostra esistenza possa essere unica, soddisfacente e che in tutte “le ore” e gli istanti che la compongono noi possiamo effettivamente esserne grati e felici, consapevoli che meglio di come abbiamo fatto possono farlo solo i nostri successori, ai quali lasciamo la nostra eredità, affinché usino al meglio il loro tempo e facciano errori diversi da quelli che abbiamo (forse) fatto noi.

Non rimpiangerà le possibilità che ha perduto, i suoi talenti inesplorati.

E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo  di averne ancora. Solo il cielo sa perché lo amiamo tanto.

Personaggi

  • Virginia Woolf: autrice del libro e raccontata nei momenti più feroci della depressione che la portò a togliersi la vita
  • Laura Brown: casalinga e una madre di famiglia che nell’America degli anni cinquanta, anche grazie al libro della Woolf, troverà il coraggio di cambiare vita
  • Clarissa Vaughan:  un’intellettuale newyorkese che dai tempi del college vive col nomignolo di Mrs. Dalloway per le sue somiglianze col personaggio creato da Virginia Woolf
  • Oliver: marito di Clarissa
  • Sally: compagna di Clarissa
  • Walter Hardy: lavora per Oliver
  • Virginia:
  • Quentin: figlio di Virginia
  • Angelica: figlia di Virginia
  • Leonard: marito di Virginia
  • Nelly: domestica di Virginia
  • Vanessa: sorella di Virginia
Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

Info bibliografiche

Titolo originale: The hours

Autore: Michael Cunningham

Prima pubblicazione: 1998

Prima pubblicazione in Italia: 1999

La mia edizione: Ottobre 2001

Editore italiano: Bompiani

Collana: Tascabili

Genere: Romanzo

Numero di pagine: 166

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Ce lo ricordiamo ancora quanto contano “Le piccole virtù”?

Ce lo ricordiamo ancora quanto contano “Le piccole virtù”?

RACCONTO BREVE

Ce lo ricordiamo ancora quanto contano “Le piccole virtù”?

In un mondo che va avanti velocissimo, esistono ancora, forse non troppo sommerse delle virtù, che grandi o piccole, sono una bussola nella frenesia

9 AGOSTO 2021 – ROMA

RACCONTO BREVE

Le piccole virtù di Natalia Ginzburg. Ecco la mia recensione.

 

Mi ha molto sorpresa arrivare a leggere l’ultimo dei 10 racconti che compongono “Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg e apprendere che l’autrice ritiene che “le piccole virtù” non sono le cose più importanti da insegnare ad un figlio! 

Tutti i racconti del resto affrontano problemi di vita quotidiana, quasi ordinari e che tuttavia toccano nel profondo la Ginzburg, che trova qui raccolti i suoi racconti, che lei scrisse e pubblicò in momenti diversi della sua vita e su diversi quotidiani.

I racconti sono divisi in due parti; sei racconti compongono la prima parte mentre gli altri quattro compongono la seconda.

  • Inverno in Abruzzo 1944
  • Le scarpe rotte 1945
  • Ritratto d’un amico 1957
  • Elogio e compianto dell’Inghilterra 1961
  • La Maison Volpè 1960
  • Lui e io 1962

Parte seconda:

  • Il figlio dell’uomo 1946
  • Silenzio 1951
  • I rapporti umani 1953
  • Le piccole virtù 1960

Credo che l’organizzazione di questa raccolta sia stata ben concepita; infatti mentre nella prima parte troviamo situazioni destabilizzanti e drammatiche e che in generale ci parlano di sofferenza, rinunce e sacrifici; la seconda parte invece, che è quella che preferisco, ci parla di speranza e certezza. 

Diversamente dalla prima parte infatti, non si parla delle certezze che ci vengono strappate, ma di quelle che creiamo e manteniamo nelle nostre vite, con amore e voglia di sentire la terra sotto i piedi in una concretezza che la scrittura di Natalia Ginzburg riesce perfettamente ad esprimere.

Leggendo questi racconti ci rendiamo immediatamente conto che sono “maturi”, ma non dal punto di vista letterario, quanto piuttosto da quello personale: di lei come ragazza, di lei come donna, di lei come figlia, di lei come madre, di lei come moglie.

Questi racconti ci offrono uno spaccato della sua vita personale. L’autrice abbandonando la lirica ed emotiva letteratura femminile, si immerge in un profondo percorso di introspezione, che ci guida e ispira a farlo a nostra volta, rivalutando quelle che sono le nostre priorità e il nostro stesso modo di stare nel mondo.

La Ginzburg usa fatti comuni e noti ad un vasto pubblico, O più semplicemente all’essere umano; come i rapporti con gli amici dello stesso sesso o di sesso diverso, l’amore che sboccia, le differenze con il partner, quel partner che non ci saremmo mai aspettati diventasse tale, ecco che al dunque volge lo sguardo al suo passato.

Il tono che intride e funge da filo conduttore della raccolta è quel sentimento misto tra lo smarrimento per il non sapere cosa fare della propria vita, in un momento in cui assolti tutti i proprio doveri di studentessa, figlia, moglie e madre ecco che ci si rende conto di aver ubbidito a regole che non sempre le hanno permesso di esprimersi appieno.


Quando in Le scarpe rotte ci parla del suo trascorrere del tempo con una sua amica squattrinata e di avere entrambe un solo paio di scarpe malandate, ecco che quanto appena detto risulta lampante! Lei non si sente a disagio nel non avere mezzi o nello scegliere consapevolmente di vivere con un tenore di vita più libero e svincolato dalle etichette.

Era facile individuare i poveri e i ricchi, guardando il fuoco acceso

Inverno in Abruzzo

Infatti pone sempre il pensiero e quindi ci fa immaginare il suo senso di dovere verso la famiglia, che si occupa dei suo figli e ai quali non fa mancare nulla tra cui le scarpe, e che a lei stessa non sarebbe consentito di indossare quelle stesse scarpe bucate:

(…) in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte.

Le scarpe rotte

che per lei sono da un lato sì l’espressione della sua ristrettezza di mezzi finanziari e da un lato però anche l’emblema della possibilità di essere come si vuole e chi si vuole in questo mondo, proprio come la sua amica che in qualche modo guarda con una sorta di affettuosa invidia, proprio in funzione della corda che prima o poi la costringerà a “tornare a casa” mentre la sua amica ne è sprovvista in quanto priva di legami.

(…) e scoprimmo, con profondo stupore, che anche nella nostra grigia, pesante e imponente città si poteva fare poesia.

Ritratto d’un amico

Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

Ed ancora torna la casa quando ci parla della Torino che sente casa sua, del confronto tra l’Inghilterra e l’Italia, portando sempre a noi che la leggiamo quel senso di nostalgia e calore domestico che sente mancare nella sua vita, come pure quell’impulso “giovanile” di voler scoprire ed esplorare sia sé stessa che il mondo, esprimendo sempre se stessa al meglio come ci parla in “Un amico” dove celebra le qualità di Cesare Pavese.

(…) è un paese dove si sanno costruire le case.

Elogio e compianto dell’Inghilterra

In realtà rievoca un momento della sua vita in cui era ancora capace di essere la versione migliore di se stessa, perché metteva se stessa a contatto con stimoli che erano funzionali alla sua crescita e a nutrire quella che è la sua unica vocazione: lo scrivere!

Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo.

Il mio mestiere

Io non so amministrare il tempo. Lui sa.

Lui e io

Quando in il “Il mio mestiere” ci parla di come abbia voluto per amore dei figli mettersi da parte e mettere da parte la scrittura, ecco che sentiamo tutto il conflitto di essere felice concretamente per due aspetti della sua vita: la famiglia e la sua vocazione, che tuttavia non sempre sono stati facilmente conciliabili e tra i quali non sempre si sono riusciti ad intessere le migliori gerarchie in termini di priorità, almeno per quello che riguarda il suo essere una scrittrice che lei percepisce come un qualcosa che può esistere solo nella sua vecchiaia, quando in qualche modo non da “fastidio” a nessuno e non ci sono più “altri” ruoli per lei da interpretare, che abbiano più importanza della sua stessa essenza.

truffare con parole che non esistono davvero in noi e che abbiamo pescato su a caso fuori di noi e che mettiamo insieme con destrezza perché siamo diventati piuttosto furbi.

 

Eppure Natalia Ginzburg ringrazia con profondo affetto tutto quello che l’ha tenuta distante dal suo scrivere, al pari di quello che ce l’ha avvicinata, poiché lei nulla rinnega della sua vita e tutto è funzionale ad essere se stessa, ossia la scrittrice che è in realtà.

(…) in cui sarò una vecchia scrittrice famosa.

Scarpe rotte

A conti fatti il suo mestiere è lei che se l’è sempre costruito, contrastando le innumerevoli critiche sminuenti della famiglia in particolare dei suoi fratelli, il fatto che sin da bambina “lei” sapeva perfettamente quale era la sua priorità mettendo da parte praticamente tutto fuorché lo sperimentare e il trovare quindi il suo modo di esprimersi nel testo scritto, vuoi ora in forma prosaica o dei primi versi.

Diventavamo in sua compagnia molto più intelligenti; ci sentivamo spinti a portare nelle nostre parole quanto avevamo in noi di migliore e di più serio.

Ritratto d’un amico

Il vero banco di prova in fondo, è sempre l’esperienza diretta, quella nella quale scrivendo capiamo la “forma” nella quale ci sentiamo a nostro agio e nella quale riusciamo a dare il meglio di noi, come del resto ci capita anche nella vita.

(…) invece quando scrivo delle storie sono come uno che è in patria.

Il mio mestiere

Quando scrivo qualcosa, di solito penso che è molto importante e che io sono un grandissimo scrittore.
Credo succeda a tutti. Ma c’è un angolo della mia anima dove so molto bene e sempre quello che sono, cioè un piccolo, piccolo scrittore.

Il mio mestiere

Vero è che in “Piccole virtù” di Natalia Ginzburg l’autrice stessa confuta l’importanza delle piccole cose poiché per loro natura non ne possono contenere di grandi, eppure nonostante questo credo che le piccole virtù possano intendersi in conclusione in due maniere differenti, ossi come se da un lato ci fossero i valori, quelli di cui parla appunto in “Le piccole virtù” mentre da un lato ci sono le virtù delle piccole cose, ossia tutte quelle che cooperano a definire chi siamo e come siamo.

Si nutre e cresce in noi.

Il mio mestiere

Nessun scrittore italiano capisce, come lei, cosa sia una famiglia. Vivere insieme, sedere alla stessa tavola; essere avvolti dalle stesse pareti e dagli stessi mobili; conoscere soltanto noi quel modo ostentato o dimesso di pronunziare una parola, intendere in pochi una vecchia ricetta di cucina, ricordare insieme la storia di un cassettone o di un quadro, e i loro spostamenti attraverso la casa…

Pietro citati

Info bibliografiche

Titolo originale: Le piccole virtù (italiano)

Autore: Natalia Ginzburg

Prima pubblicazione: 1962

Prima pubblicazione in Italia: 1962

La mia edizione: Seconda edizione 1962

Editore italiano: Einaudi

Collana: –

Genere: Racconto breve

Numero di pagine: 136

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Fare blogging. Il metodo di Riccardo Esposito per scrivere contenuti vincenti

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MARKETINGSEO & COPYWRITING

Fare blogging. Il metodo di Riccardo Esposito per scrivere contenuti vincenti

Se ti piace scrivere e sei, o impari ad essere costante, il copywriter è il mestiere giusto per te! Parola di Riccardo Esposito

9 AGOSTO 2021 – ROMA

MARKETINGSEO & COPYWRITING

Fare blogging. Il mio metodo per scrivere contenuti vincenti di Riccardo Esposito. Ecco la mia recensione.

 

“Fare blogging. Il mio metodo per scrivere contenuti vincenti”, il titolo dice tutto!

Questo non è un libro dove troverai la guida in pochi semplici step per scrivere il contenuto perfetto per il tuo blog o per i vai blog dei tuoi clienti; è uno dei metodi possibili e soprattutto è quello che l’autore Riccardo Esposito ha trovato per ottenere il miglior risultato che sia in grado di ottenere.

In effetti questo è il primo grande punto da cui partire quando si sceglie di approcciare al copywriting perché fare blogging significa esattamente questo: raccontare storie e raccoglierle in un unico luogo, un blog appunto, nel quale il visitatore trova auspicabilmente esattamente quello che cerca… ma qui parliamo anche si SEO e se vuoi puoi approfondire nel libro di Francesco Margherita.

Il primo punto dal quale Riccardo Esposito ci suggerisce di partire è quello di pensare come chi andrà a leggere e non come chi scrive, mettendo per il tempo della creazione di quel contenuto in pausa il nostro ego e mettendo a disposizione del lettore il nostro sapere.

Fare blogging vuol dire condividere gli argomenti giusti con le persone giuste.

Il mestiere del copywriter

Prima ancora di pensare a posizionarsi dal punto di vista dei motori di ricerca o di pensare al copywriting persuasivo, e di vedere nel fare blogging un modo semplice e veloce per garantirsi un entrata fissa magari vendendo spazi pubblicitari all’interno del proprio sito internet, ci si dovrebbe infatti prima interrogare se effettivamente l’idea di passare giornate intere a scrivere è qualcosa che ti rende felice.

In base alle esigenze nascono gli obiettivi.

Quando ti piace quello che fai la qualità del tuo lavoro migliora sensibilmente e ovviamente anche la qualità della tua vita si alza più di quanto potresti mai aver immaginato.

Non si tratta quindi solo di essere un blogger appassionato per il piacere di fare bene il proprio lavoro ma soprattutto per riuscire effettivamente a farlo bene in termini di risultati oggettivi.

Un contenuto deve essere pensato intorno all’obbiettivo da raggiungere.

Da utente ti sarà capitato di cercare qualcosa online e di iniziare a leggere un articolo ben scritto, uno che sì è lungo e quindi dettagliato, ma anche scritto così bene da indurti a leggere ogni riga e quando lo hai finito a volerne leggere anche un’altro. Se ti sei imbattut* in un articolo del genere hai letto un pillar article (o long article), che si differenzia da qualsiasi altro contenuto testuale non solo per la lunghezza ovviamente, o il posizionarsi in maniera organica, ma proprio per il tono di voce appassionato e semplice con cui si spiega in maniera meticolosa proprio quell’argomento che interessa il lettore.

Vero è che per ogni lavoro bisogna mettere in conto di avere dei momenti più intensi rispetto ad altri e che in generale ti fanno perdere di vista il tuo perché, il motivo vero per il quale hai scelto tra le mille (ed è riduttivo) possibilità del web di scegliere proprio quella del copywriter, ma proprio perché quello di fare blogging è un mestiere creativo, ecco che diventa necessario avere sin da subito delle motivazioni forti.

Quando ci metti il cuore tutto diventa più facile.

Blogger di lavoro

Se quando scrivi non ti stai divertendo si vede o meglio questo si legge!! Certo che ci sono argomenti per noi più piacevoli da affrontare rispetto ad altri, perché magari incontrano proprio i nostri gusti personali, ma la certezza è che se ti piace fare il blogger e quindi creare contenuti testuali dietro pagamento perché si fare blogging e quindi il copywriter è un lavoro che se ben fatto può portarti dei grandi risultati sia in termini di soddisfazione personale e dei clienti (che ovviamente attiveranno un passaparola per te proficuo) e ovviamente anche da punto di vista economico.

La scrittura deve essere naturale, dettata dalla passione…

Quindi se ti piace scrivere, sappi che hai un mestiere in mano! Sappi che se ti ci metti d’impegno potrai effettivamente crearti un business profittevole che ti permetterà ogni giorno di fare esattamente quello che ti piace. Quindi non ti resta altro che scrivere il tuo piano editoriale e iniziare a scrivere perché: 

c’è una marea di articoli da pubblicare. Ecco perché devi iniziare a lavorare subito.

Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

Info bibliografiche

Titolo originale: Fare blogging. Il mio metodo per scrivere contenuti vincenti (italiano)

Autore: Riccardo Esposito

Prima pubblicazione: Settembre 2014

Prima pubblicazione in Italia: Settembre 2014

La mia edizione: II edizione – Giugno 2018

Editore italiano: Webbook

Collana: –

Genere: Manuale

Numero di pagine: 207

Preceduto da: –

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What it takes: quello che ti serve per farcela sei tu

What it takes: quello che ti serve per farcela sei tu

GROWTH, MIND & BODY, SELF HELPBIOGRAFICO

What it takes: quello che ti serve per farcela sei tu

Maria Beatrice Alonzi, o semplicemente “Bea”, ci guida in un percorso evolutivo atto a riconoscere e affrontare tutti quegli schemi mentali, quelle idee indotte assorbite dall’esterno e che per qualche motivo abbiamo deciso di accettare come nostre! Iniziare il nostro viaggio, salendo sul treno della nostra vita e farlo con una guida all’altezza del compito, è un passo decisivo nel raggiungere la nostra vera essenza finalmente liberi di essere chi siamo ed esprimerci in tal senso in ogni aspetto delle nostre vite.

2 GIUGNO 2021 – ROMA

GROWTH, MIND & BODY, SELF HELPBIOGRAFICO

Non voglio più piacere a tutti di Maria Beatrice Alonzi. Ecco la mia recensione.

 

Ti succede con la maggior parte delle persone che incontri nella tua vita! Ciascuna di loro si aspetta da te un determinato comportamento, una determinata performance, un certo qualcosa che le faccia sentire meglio nel rapportarsi con te, o che semplicemente riconoscono e sono in grado di comprendere. In altre parole, ti semplificano e ti posizionano in una scatola di sardine, che poi è proprio il disegno che si trova sulla copertina di “Non voglio più piacere a tutti” il secondo libro che Maria Beatrice Alonzi, ha pubblicato con la casa editrice Vallardi.

Trova il coraggio di amare chi sei e vivere la vita che vuoi.

Questo accade perché, tanto nella buona quanto nella cattiva fede, il mondo fatto dalle persone che ti circondano proietta qualcosa che vorrebbe fare nella vita, o ottenere dalla vita, su di te. Insomma, il mondo ha una sua visione e cerca costantemente di tirartici dentro, e di indurti ad assomigliarvi sempre di più. Ma ciò che devi imparare, quanto prima sia possibile, è che soddisfare le aspettative altrui non è compito tuo.

Tu credi in te, già questo è difficile e alla base di tutte le cose.

Il tuo compito, come lo è anche il mio! è di adoperarti per comprendere dapprima la tua intima natura, quindi: abbracciarla, muoverti, agire e prendere tutte quelle scelte che di fatto ti portano ad esprimere te stess*.

Il tentativo di “accontentare” tutti ha, di fatto, un duplice risultato: da un lato l’immenso spreco di tempo perché oscilli costantemente tra una scelta ed un’altra; tra un comportamento e l’altro. Dall’altro lato, il risultato più alto che ottieni (e sono molto sarcastica) è quello di raccogliere insoddisfazione e infelicità, perché inevitabilmente percepisci che non stai stratificando assolutamente nulla nella tua vita.

Come si comincia a essere felici?

Vero è, che potresti ottenere dei grandissimi risultati nel tentativo di compiacere o acquietare l’animo altrui, ma la vita è un viaggio e non contano soltanto i traguardi! Infatti ciò a cui dovremmo dedicare “almeno” pari attenzione è il viaggio di per se, che tra l’altro a conti fatti, è quello che ci richiederà sempre la maggior parte del nostro tempo.

…qualcosa che non ti piace ma che ti riesce…

Maria Beatrice Alonzi, scrivendo questo libro mette a nudo la sua esperienza personale, e dedica il suo tempo per occuparsi, o meglio per insegnarti ad occuparti, della tua felicità. E soprattutto ti insegna, e ci insegna!, che volgere lo sguardo a ciò che ti rende intimamente felice è il primo passo per raggiungerla quella felicità che vuoi e meriti, e finalmente portarla e mantenerla nella tua vita.

Sei tu che lo crei, sei tu che lo vivi e sei tu che te lo godi.

Come la maggior parte delle persone, anche tu sei abituat* a pensare che la felicità sia qualcosa che non meriti, e che comunque non sei in grado di portare nella tua vita, figurarsi mantenercela!

Ma non è colpa tua se finora l’hai pensata in questo modo, perché in un modo o nell’altro sei stat* circondat* da stimoli depotenzianti, che da un lato minavano il tuo sviluppo e la tua affermazione come individuo, e dall’altro ti instillavano “credenze” e ti programmavano in una determinata maniera, con il solo obiettivo (conscio o inconscio), di renderti quanto più simile possibile alla loro visione di come tu dovresti essere, dovresti vivere la tua vita, e quindi stare nel mondo.

La tua vita comincia da qui. La tua vita comincia da te, dallo scoprirti diverso e diversa da come ti vogliono gli altri. Lascia a terra le zavorre e i sensi di colpa e sali sul treno che ti porterà a realizzare davvero quello che tu sei, quello che tu desideri.

Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

Se, come credo che sia se stai leggendo queste righe, e magari stai pensando di leggere questo libro probabilmente sei tra le persone che “soffrono” della sindrome del supereroe: ossia sei una persona che si fa carico prima della vita altrui rispetto alla propria, che mette davanti i bisogni altrui prima ancora di aver effettivamente compreso i propri. Per quanto nobile siano le leve che ti e ci muovono in tal senso, sappi che non è in questo modo che ci occupiamo davvero degli altri.

Quando stai facendo qualcosa per qualcun altro, tu sei capace di tutto, di ogni cosa. (…) tu, semplicemente, te ne freghi di te perché non ti importa di avere una buona opinione di te. (…) se fosse importante per te pensare bene di te stesso, allora faresti di tutto per arrivare. (…) A te manca solo questo: che ti importi di te stesso.

So perfettamente che in te come in me, il “germe dell’impostore vive” e che la sua voce, spesso è più forte della tua e ti sussurra cose alle quali ancora non sai come controbattere, tuttavia sappi che puoi dominare questa voce e riprogrammare il tuo inconscio, perché se ti dai la possibilità, scoprirai che nel mondo ci sono anche voci che invece sussurrano che ti meriti tutto l’amore e il meglio di e da questo mondo.

La felicità comincia quando qualcuno ti fa sentire di esistere.

A te la scelta su quale voce ascoltare.

Altre citazioni

La felicità comincia con il significato, il significato che si dà a una persona.

…mentre siamo qui che respiriamo insieme.

Quando stai facendo qualcosa per qualcun altro, tu sei capace di tutto, di ogni cosa. (…) tu, semplicemente, te ne freghi di te perché non ti importa di avere una buona opinione di te. (…) se fosse importante per te pensare bene di te stesso, allora faresti di tutto per arrivare. (…) A te manca solo questo: che ti importi di te stesso.

La capacità di adattamento che possediamo è infinita.

…non vogliamo il male minore, noi VOGLIAMO IL BENE MAGGIORE.

L’unica persona al mondo che ti serve sei tu, ed è quella che trascuri di più.

Curare le tue ferite è compito tuo. Andare oltre i tuoi limiti è tuo dovere.

“…io voglio essere felice, lasciami essere felice.”

Tu esisti esclusivamente in funzione di ciò che pensi di te.

Ci vuole coraggio a essere felici

Karen Blixen

Lasciati abitare dall’angoscia di non sapere chi sei, di non sapere cosa sei, come sei, e non correre ai ripari.

È etica quando parliamo delle regole che governano la società, è morale quando parliamo delle regole con le quali scegliamo di governare noi stessi.

Un sacrificio non è altro che un patto che fai con il tuo senso di colpa.

Io non vado da nessuna parte, sono qui con te.

…una componente centrale fondamentalmente imprescindibile: me.

La spinta ero io, andavo dove il mio io, la mia visione, (…) mi portavano.

la tua vita prende un piega completamente diversa [migliore!]

…avere uno scopo…

Quello che stai facendo ha un valore, glielo hai dato tu con il tuo sudore in tutto questo tempo, devi assolutamente tenerlo a mente.

Prima di pensare a cosa fare da grande, devi pensare a cosa vuoi ESSERE da grande.

…l’incredibile forza che deriva da una decisione che hai preso senza confrontarti con nessuno.

…dormirci sopra.

…è tuo dovere sapere come stai.

Non devi chiedere a nessuno il permesso di crescere. O cambiare. O tutt’e due.

[alcune persone sono il tuo] famigerato alibi per non diventare la migliore versione di te.

Sarà una decisione che si prenderà cura di te.

Avrai relazioni che ti fanno stare e sentire bene.

Non sei il centro del mondo ed è la tua più grande fortuna.

Tutto quello che ti rende umano e fallibile, ti avvicina ad un altro essere umano.

In un rapporto vero non si aspetta la persona “giusta”, la si costruisce.

La persona giusta esiste: la persona giusta sei tu.

Quando si fa una scelta la si fa per se stessi.

Ama te, ama i tuoi pensieri, accogli le tue emozioni.

La persona che cerchi ti somiglia, la persona che cerchi sei tu ma non ti riconosci perché non ti attribuisci quelle qualità.

Ricorda che il giorno nel quale dovrai smettere di evolvere esiste ed è l’ultimo giorno della tua vita.

Il lavoro c’è e crea reddito.

Tu non sei felice perché non hai mai imparato a parlare con te stesso.

Tu sei il mezzo per arrivare.

Non esiste nessuna interazione tra persone che non abbia uno scopo.

Ogni azione è una reazione.

Per ottenere quello che vuoi, devi volere questo rapporto.

Devi volerlo per davvero.

Devi abolire tutti quei compromessi che potrebbero farti demordere e tenere a mente che sarà faticoso: la fatica per la libertà e per il successo è la fatica che vale la pena di compiere.

Sii un punto fermo, qualcuno sul quale contare.

La conversazione e le tue azioni devono portarti a essere felice e a ottenere [tutto ciò] che vuoi.

Il valore che dai al denaro è strettamente correlato al valore che dai a te stesso.

….che ANCORA non hai, non che non hai “punto”.

Getta tutto quello che ti ha fatto male e quello che ti ha tenuto al sicuro.

Ti fa male guardare tutto quello che hai portato con te, ti fa male dover salutare tutto quello che ti ha fermato in questi anni, tutto ciò che ti ha ferito.

Il senso di ogni viaggio risiede nel partire per arrivare a una destinazione, a una meta.

…l’unico vero gesto che ha cambiato e cambierà completamente la tua vita: quello di amarti profondamente.

Non cambierai ma ti vedrai.

Con la consapevolezza puoi conquistare il mondo.

La felicità non è una cosa statica.

E adesso cominciamo.

Per arrivare a raggiungere i tuoi obiettivi non ti serve niente di diverso da ciò che hai.

Non è semplice lasciare andare tutti i “benefici” che crediamo derivino dall’essere completamente dipendenti da qualcuno.

I bambini hanno miliardi di capacità interessantissime, accolgono tutto quello che vedono e che sentono, e quello che non capiscono lo capiscono lo stesso…ovviamente a modo loro.

Peggiore è stata la tua infanzia, più forti sono le radici che ti tengono inchiodato al suolo.

Info bibliografiche

Titolo originale: Non voglio più piacere a tutti (italiano)

Autore: Maria Beatrice Alonzi

Prima pubblicazione: 2021

Prima pubblicazione in Italia: 2021

La mia edizione: I edizione Vallardi 2021

Editore italiano: Vallardi

Collana: –

Genere: Auto aiuto, Mente e corpo, Crescita personale

Numero di pagine: 200

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La teoria della forma di Paul Klee inaspettatamente insegna anche la crescita personale!

La teoria della forma di Paul Klee inaspettatamente insegna anche la crescita personale!

Teoria della forma e della figurazione - Volume 1 di Paul Klee del 1956

ARTE

La teoria della forma di Paul Klee inaspettatamente insegna anche la crescita personale!

La lezione più importante che possiamo apprendere da un astrattista quale era Paul Klee, è quella di “pensare” in astratto indagando quelle che sono le regole profonde che ci consentono di creare l’equilibrio, proprio come lui fece ricercando prima e creando poi, all’interno della sua pittura.

28 MARZO 2021 – ROMA

ARTE

Teoria della forma e della figurazione di Paul Klee. Ecco la mia recensione.

 

Rileggo Teoria della forma e della figurazione – Volume 1 di Paul Klee, a distanza di dodici anni, e sono felice di essermi approcciata a questo libro, con un bagaglio esperenziale più ricco che mi ha dato la possibilità di coglierne sfumature, che in un periodo più acerbo della mia vita, non colsi.

Se segui la mia vita e le sue evoluzioni personali e professionali, sui vari social ma anche nella mia newsletter, saprai che sto rimodellando la mia libreria personale! Così quando mi sono ritrovata davanti i due volumi di Teoria della forma e della figurazione di Paul Klee, dovevo decidere se per me avevano un valore e dunque se li volevo con me.

(Se te lo stai chiedendo non ho mai letto L’arte del riordino di Marie Kondo, almeno alla data odierna; anzi credo che probabilmente leggendolo ritroverei consigli che già applico!)

Ad ogni modo ho scelto di dare una seconda occasione alle oltre mille pagine tra volume 1 & volume 2, e in questo mio secondo appuntamento in tutta onestà, la prima cosa che ho fatto è stata quella di cercare qualcuno che lo avesse già letto. Ho chiesto sia a chi conoscevo che a perfetti “sconosciuti”. Il risultato? Non ho trovato nessuno che lo avesse letto!

Però almeno non sono stata “contaminata” da interpretazioni esterne a me, e questo ritengo che sia sempre un bene.

Avevo paura di “sprecare” il mio tempo immaginando di rileggere un libro e di non capirlo per la seconda volta, però ripeto stavolta ero più “matura”.

In Teoria della forma e della figurazione, volume 1; sono raccolte le lezioni che Paul Klee tiene al Bauhaus di Weimar, nel periodo compreso tra il 1920 e il 1921, quindi di fatto, lo ri-leggo a cento anni di distanza dalla sua genesi.

L’impostazione sotto forma di lezioni preclude una certa scorrevolezza nella lettura, e ho trovato estremamente errata la scelta di inserire immagini in bianco e nero, quando uno degli argomenti è la “Teoria del colore”, soprattutto perché in questa fattispecie “padre Google” (ho una t-shirt made by me con scritto PADRE GOOGLE DAVANTI & MADRE TERRA DIETRO…a mio avviso i due grandi pilastri!) non aveva tutte le immagini “coloured version”.

Tra queste pagine si affrontano tematiche compositive tali, da aver fatto  guadagnare a Paul Klee, il seguito di quasi tutti gli studenti del Bauhaus a scapito degli altri corsi, che invece rimanevano vuoti, causando un certo malcontento; ma se questa storia ti interessa la puoi leggere nell’introduzione del libro.

Paul Klee è stato, come si richiedeva nella celeberrima scuola, tanto studente quanto insegnante, perché l’approccio era appunto questo al Bauhaus: sottoporre ai propri studenti i propri lavori in modo da discuterne insieme, in uno scambio capace di arricchire tutte le menti coinvolte nella riflessione.

In qualità di pittore astratto, Paul Klee fu accusato in più di un’occasione di disegnare in maniera infantile eppure negli studi anatomici che troviamo tra le pagine di Teoria della forma e della figurazione, si evidenzia oltre ad una validissima abilità rappresentativa, anche una consapevolezza di ciò che regola, e che dunque è la regola che sta dietro al funzionamento del sistema muscolo-scheletrico, e per estensione dietro al funzionamento di tutto quanto si voglia indagare (per parafrasare l’autore) nella sua struttura molecolare.

È certo che un libro di questo genere non è adatto a tutti, ma in fondo quale libro lo è davvero?! Il mio caso specifico dimostra ad esempio, che un libro può andar bene per una persona, ma non per tutte le sue “età”.

Avevo acquistato questo libro, anzi entrambi i volumi nel 2009, in un momento in cui i miei studi e le mie ricerche personali, si concentravano sull’aspetto (direi che il termine calzante è) pittorico. Ora invece, e credo sia questo l’insegnamento più grande che un “non artista” possa trarre dalla lettura di un testo del genere, è lo stimolo e l’impulso a voler scoprire la struttura profonda e intrinseca che regola i rapporti, tra tutto ciò che compone un determinato sistema. 

Ovviamente Paul Klee faceva riferimento al sistema “quadro”, ma se lui cercava di sintetizzare in figurazione la musica, parimenti sarà possibile essere mossi (d’ora in avanti), nell’avere e nel coltivare un’attitudine volta alla scoperta delle regole intrinseche e matematiche,che il bravo osservatore sarà certamente in grado di cogliere, e che si trovano praticamente in ogni aspetto di ciò che conosciamo o indaghiamo.

I quadri di Paul Klee, ma anche tutto ciò che è raccolto in Teoria della forma e della figurazione, a mio avviso non debbono essere giudicati in termini di estetica o di piacere, quanto piuttosto di capacità di indagine della norma e relazione tra le parti, le quali vengono sintetizzate in una composizione che si “figura” (crea, mostra) davanti ai nostri occhi.

E a supporto di questa mia “lettura” vi è anche il fatto che, sempre parafrasando l’autore:

l’opera d’arte è divenire, l’aspetto più importante è la sua genesi,
è il pensiero che sta dietro alle scelte compositive, e dunque creative

E che cosa possiamo imparare da un pittore astrattista, che ha insegnato nella scuola più all’avanguardia della storia dell’arte e dell’architettura, se non l’astrattismo puro?

E che cos’è l’astrattismo se non la capacità di dedurre una regola e di applicarla, per astrazione appunto, a qualcosa cui naturalmente parrebbe non aver nulla a che fare?

Ogni figurazione è movimento, in quanto comincia
in qualche luogo e in qualche luogo ha termine.

Ecco allora che “assorbendo” questo testo in termini astratti, sono riuscita a trovare due interessanti “corrispondenze” tra i gesti dell’arte e quelle che possono essere:

  • da un lato, le fasi dell’evoluzione di un individuo nel raggiungimento dei suoi obiettivi nella vita;
  • dall’altro la scelta di quelle che sono le priorità che ci consentono di raggiungere questi obiettivi.

Quindi da un lato abbiamo la crescita personale, dall’altro un time management efficace, e io stessa mi sono sorpresa nel cogliere questa affinità!

Cominciamo dal time management!

Che Paul Klee cerchi la sintesi è cosa conclamata, e questa sua propensione si comprende davvero leggendo Teoria della Forma e della figurazione, perché nelle varie lezioni ed esercitazioni dei suoi studenti, l’obiettivo ultimo è sempre quello di raggiungere l’essenza. (Non vedo l’ora di andare a vedere una sua mostra, con queste nuove consapevolezze).

Così quando ha iniziato a descrivere ciò che poteva essere “ancora” suddiviso differenziandolo da ciò che era già elemento “individuale” (pagina 264), ho avuto una folgorazione!

La figura divisibile di questo pesce è mutabile in quanto l’avere 330 scaglie
invece di 550 è meno importante che avere o no una testa.

Ecco allora che “assorbendo” questo testo in termini astratti, sono riuscita a trovare due interessanti “corrispondenze” tra i gesti dell’arte e quelle che possono essere:

  • da un lato, le fasi dell’evoluzione di un individuo nel raggiungimento dei suoi obiettivi nella vita;
  • dall’altro la scelta di quelle che sono le priorità che ci consentono di raggiungere questi obiettivi.

Quindi da un lato abbiamo la crescita personale, dall’altro un time management efficace, e io stessa mi sono sorpresa nel cogliere questa affinità!

Cominciamo dal time management!

Che Paul Klee cerchi la sintesi è cosa conclamata, e questa sua propensione si comprende davvero leggendo Teoria della Forma e della figurazione, perché nelle varie lezioni ed esercitazioni dei suoi studenti, l’obiettivo ultimo è sempre quello di raggiungere l’essenza. (Non vedo l’ora di andare a vedere una sua mostra, con queste nuove consapevolezze).

Così quando ha iniziato a descrivere ciò che poteva essere “ancora” suddiviso differenziandolo da ciò che era già elemento “individuale” (pagina 264), ho avuto una folgorazione!

Testa, tronco, coda e pinne

Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

Segui il discorso con attenzione!

Pensa come un* bambin* e vedi che se dovessi disegnare un pesce anche tu, sapendo disegnare bene o meno, partiresti da questi stessi elementi. Se vuoi provaci davvero a disegnarlo, poi potrai buttare il foglio ma l’esperienza ti sarà rimasta!

Queste parti non possono essere ridotte, alterate o eliminate perché altrimenti verrebbe meno la condizione stessa del pesce, della sua individualità.

Diverso è invece il discorso per le squame le quali venendo eliminate in parte o nell’interezza, il pesce avrebbe ancora una sua veridicità e individualità!

Semplicemente, afferma l’artista:

tra il concetto di individuale e quello di divisibile
esiste dunque un rapporto di differenza di valore.

Ed ecco la mia associazione: gli elementi fondamentali e irriducibili sono le cose più importanti che vanno fatte durante la giornata, affinché questa abbia un senso di completezza e compiutezza. Queste “cose/task/…” possono essere sia quelle più grandi in termini di tempo che di impegno, ma anche in termini di urgenza. Ad ogni modo questa è la struttura della nostra giornata sulla quale possiamo poi stratificarci delle task secondarie o terziarie, che possono appunto essere le squame, gli occhi, il colore della pelle del pesce, insomma tutto ciò che è accessorio. E per citare Edward de Bono, in Il pensiero laterale: “La divisione migliore è quella più utile.”

E ora vai con la crescita personale!

Ribadendo che in questo caso tutto nasce da descrizione dei “gesti dell’artista”, Paul Klee suddivide le fasi della genesi di un’opera in tre azioni progressive (da pagina 333):

Azioni attive, medie & passive

Nella mia rilettura, essendo partita dall’assioma che per ottenere un certo risultato finale (opera nel caso di Klee, obiettivi di vita nella mia interpretazione), si deve necessariamente passare per tre fasi, dove l’unica ad essere intenzionale e sulla quale possiamo agire è la prima, ossia quella dove ci sono le azioni attive.

Dal mio punto di vista, queste sono quelle in cui agiamo intenzionalmente, selezionandole e mettendole in pratica, avendo come intento quello di concretizzare un certo qualcosa che reputiamo importante o significativo per le nostre vite. Questo “qualcosa” è l’azione passiva, perché una volta lanciato il sasso non si può più agire sulla sua traiettoria o intensità di lancio, dunque diventiamo passivi (per quel progetto, ma possiamo essere attivi per un altro nel mentre che il primo si concretizza 😉 ).

Le azioni medie, sono appunto intermedie, quindi in termini artistici possiamo parlare del momento in cui inseriamo i pesi e le misure, usando colori e intensità ma anche scegliendo un certo tipo di pennellata.

Rileggendo questa fase di connessione, io direi che nella quotidianità possiamo parlare di quelle che sono le conoscenze, le capacità, le competenze ma anche le persone che incontriamo a cavallo tra l’inizio del nostro percorso e la sua espletazione. Come se appunto facessimo spazio nelle nostre vite, esattamente per quello che è funzionale, benefico e piacevole in questo nostro percorso evolutivo.

Ecco io non ho letto questo libro con l’intenzione di trovarci dentro queste “interpretazioni” ma sono piacevolmente sorpresa di avercele trovate e mi auguro che queste due semplici indicazioni possano essere una valida traccia sulla quale tu possa costruire e stratificare la tua personale regola, fatta anche dall’unione di diverse regole, il cui obiettivo finale è quello di rendere la tua vita esattamente come la vuoi.

In fondo Paul Klee è diventato l’artista che oggi e nei secoli a venire verrà ricordato perché è partito dalla struttura, dalla regola, e questo non può che dirci a gran voce: “ Trova la tua regola e applicala in tutto ciò che fai”.

L’uomo non è compiuto. Ci si deve mantenere in evoluzione.

Altre citazioni

Imprimere al divenire il carattere dell’essere è questa la suprema volontà di potenza.

Friedrich Nietzsche

Che è un artista così staccato dalle cose del mondo, un simile sognatore, non poteva essere un maestro.

OSKAR SCHLEMMER – Presidente del consiglio studentesco del l’accademia di Belle Arti di Stoccarda

Vedo con piacere, che ormai tutti gli scogli sono superati.

Walter Gropius – In una lettera a Paul Klee

Quale modello di totale dedizione al proprio lavoro, noi tutti abbiamo da imparare da Klee: e indubbiamente abbiamo imparato.

Vasilij Vasil’evič Kandinskij

Altre citazioni di Marcello Barison

In nessun caso, quindi, la pittura narra o descrive qualcosa.

L’ “operità” dell’opera è il suo mantenersi, in sé raccolta, in uno stato di quiete.essa permane nella riposo del suo aspetto.

Il divenire si regge sull’essere.

È il divenire, ciò che proibisce alle forme di mantenersi in coerente identità con se stesse.

Pensare la forma nel divenire significa pensare una discontinuità nel suo flusso.

Altre citazioni di Paul Klee

Si sostiene che Ingres abbia posto ordine alla quiete, io vorrei, al di là del pathos, porre ordine al movimento.

La forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, fine, bensì genesi, divenire, essenza… Buona è la forma come movimento, come fare: buona è la forma attiva, cattiva è la forma come quiete, come fine.

Solo nel movimento è possibile la molteplicità delle sfumature.

Non è possibile determinare 1:00 localizzazione poiché il flusso, la linea di corrente, trascina via con sé, dolce ma sicura, tutto quanto è stabile.

Vogliamo non già la forma, bensì la funzione.

Dobbiamo compiere tranquillamente ciò cui aspiriamo.

Ché un appassionato impulso alla chiarificazione è indubbiamente connesso ai grandi mutamenti del nel modo di vivere.

In arte il vedere non è altrettanto essenziale del rendere visibile.

Chi in questi ultimi anni, significativi anni, si sia occupato seriamente di arte figurativa, non può non sapere chi io sia.

Mobilità evidente può nascere solo dal progressivo aumentare o diminuire di quantità e qualità dell’energia impiegata.

Per due ore ho parlato da uomo a uomo con l’uditorio.

Perché assieme le cose devono procedere, altrimenti nonna procederebbero affatto.

Scopo del suo insegnamento era di indicare l’elemento vitale della figurazione, rivelarlo mediante una struttura in movimento, e fissare l’elemento normativo in semplici direttrici.

Ci si aggrappa alle teorie perché si teme la vita, si ha paura dell’incertezza.

L’arte non si può insegnare, il mestiere sì.

Di fronte a un’opera, egli si pone il problema se la rappresentazione renda l’essenza dell’oggetto oppure solo l’involucro del fenomeno ottico esteriore.

Il geometrico e astratto, nel pensiero di chi si umanizza.

L’uomo non è compiuto. Ci si deve mantenere in evoluzione.

Soltanto nella movimento è possibile la molteplicità delle sfumature.per diventare più precisi, bisogna impoverire.

Il caos è una condizione di disordine delle cose.

Non è possibile determinare la localizzazione poiché il flusso, la lieve corrente, trascina via con sé, dolce ma sicura, tutto quanto è stabile.

Comincio la donde ha effettivamente inizio la forma figurativa: dal punto che si mette in movimento.

La figurazione è legata al movimento.

Sarà della buona pittura non è che questo: mettere i colori giusti nel posto giusto.

Sulle antitesi si fondano le espressioni di forza.

Tridimensionale è l’opera nella quale si possono chiaramente distinguere interno ed esterno.

La forma attiva è un fare.si muove, non è un essere quieto ma azione.

Formalismo e forma senza funzione.

Spesso le vie sembrano nuovissime, senza forse esserlo in sostanza: nuova è solo la loro combinazione, o meglio esse sono nuove rispetto al numero e al tipo delle vie di ieri. L’essere nuovo in rapporto all’ieri, ecco una caratteristica pur sempre rivoluzionaria.

L’artista d’oggi è qualcosa di più di una perfezionata macchina fotografica: è più complesso, più ricco, più esteso.

Noi costruiamo e costruiamo, ma l’intuizione resta pur sempre un’ottima cosa…

Si impara quel modo peculiare di progresso che consiste nello spingersi criticamente a ritroso, nella direzione del prima, sul quale cresce il poi.

Ma il genio non  è diligenza.

Irregolarità significa maggiore libertà senza violazione della legge.

L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile.

Il movimento sta alla base di ogni divenire.

Ogni energia esige un completamento.

L’arte è una similitudine della creazione.

Spostare il centro di gravità osservando con nuovi mezzi.

Un essere che differisce da voi solo perché sa cavarsi d’impaccio con i suoi soli, specifici mezzi e che perciò a volte è forse più felice di chi non crea, di chi non può liberarsi creando.

Tormentato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto.

Si possono comparare sale e zucchero, ma non la sapidità e la dolcezza.

Ci somiglia ancora poco!

Nella sua forma presente, è questo l’unico modo possibile!

La leggenda dell’infantilismo del mio disegno.

Noi ricerchiamo le vie seguite da altri nella creazione delle loro opere, per esserne stimolati a metterci in cammino per conto nostro.

Particolare metodo di analisi consiste nell’esaminare l’opera nei vari stadi della sua formazione.

Plasmare liberamente una figura, in base alla legge stessa.

La parola “stimolato” sta l’intera premessa all’inizio di una attività.

La via è essenziale e determina il carattere.

La formazione determina la forma e pertanto la trascende. La forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, fine, bensì genesi, divenire, essenza.la forma come apparenza è però un maligno, pericoloso fantasma. Buona la forma come movimento, come fare: buona è la forma attiva, che attiva la forma come riposo, come fine. Cattiva è la forma che si subisce, la forma compiuta. Buona è la formazione, cattiva è la forma, perché la forma è fine, è morte.

Ogni figurazione in movimento, in quanto comincia in qualche luogo e in qualche luogo a termine.

(…) l’uomo allora viene un mattone, un elemento di costruzione.

Il tutto è movimento, il movimento tende ad attuarsi nel tutto.

L’individuo felice, ovvero gli individui felici, sono coloro i quali sono in grado di coordinarsi esattamente alla struttura e alla norma su un’ampia superficie, senza nuocere al proprio carattere individuale.

QUESTA CITAZIONE è IN PARTE PARAFRASI

Condizioni che non si possono spiegare, perché in campo figurativo è impossibile proiettare immagini interiori in modo che siano del tutto o quasi realtà.

“Carattere strutturale“ sta ad indicare un carattere di visibile dell’articolazione.

Poetare significa scegliere e collocare armonicamente le parole in modo che ne risultino immagini penetranti.

Ogni opera comincia in qualche parte.

Occorre chi sappia ascoltare.

L’artista cerca la stringatezza non l’abbondanza delle parole.

Quando dei corpi so toccano, si manifesta una certa siete di avventura; se questo non avviene, meglio mantenere la distanza, e la distanza dovrà mantenersi armonica.

Quando c’è semplicità è facile distinguere l’ordine.

Creare, con poco, un’abbondanza spirituale.

Lo sviluppo della forma richiede molto meno energia della sua determinazione.

Non bisogna dunque porre mente alla forma quanto piuttosto alla formazione, attenersi alla via.

Gli studi si differenziano dalla teoria per il loro aspetto pratico: (…) fare per potere.

Il risultato artistico si raggiunge soltanto quando insorgono complicazioni (…) È stato reso visibile qualcosa che, senza lo sforzo di renderlo visibile, non si sarebbe potuto conoscere.

Il quadro non ha fini particolari, ha il solo scopo di farci felici.

La somma delle naturali esperienze costituisce infatti il nostro sapere.

Dobbiamo lavorare tranquillamente a seconda della nostra inclinazione.

Se un quadro è buono, deve appagarci interiormente, anche se si prescinde dal suo contenuto.

La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell’opera. Tutti coloro che coltivano lo spirito sono capaci di percorrere a ritroso il processo della creazione, soltanto i creatori lo percorrono in avanti.

Il bello è brutto e il brutto è bello.

Ma c’è un fenomeno al di sopra di tutte le cose colorate, questo fenomeno è l’arcobaleno.

Il colore mi possiede; non ho bisogno di andarne in cerca. Mi ha per sempre e io lo so. Questo è il senso dell’ora felice: io il colore siamo una cosa sola. Sono Pittore.

Per il movimento ininterrotto la direzione non conta.

Comincia dal suo nulla, vale a dire dal culmine del colore vicino.

Info bibliografiche

Titolo originale: Das bildnerische Denken

Autore: Paul Klee

a cura di: Marcello Barison

Prima pubblicazione: 1956

Prima pubblicazione in Italia: Dicembre 1959

La mia edizione: 2009

Editore italiano: Mimesis

Collana: –

Genere: Arte

Numero di pagine: 509 (illustrazioni incluse)

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Il tuo pensiero laterale è una risorsa da allenare, e farlo è divertente!

Il tuo pensiero laterale è una risorsa da allenare, e farlo è divertente!

Copertina del libro “Il pensiero laterale” di Edward de Bono del 1967

GROWTH, MIND & BODY, SELF HELPPSICOLOGIA

Il tuo pensiero laterale è una risorsa da allenare, e farlo è divertente!

Il pensiero laterale, dello psicologo maltese Edward de Bono, ci insegna e spiega, come sviluppare la creatività e trovare sempre nuove idee superando i limiti imposti dal pensiero verticale e da una formazione che di fatto, non ci insegna a pensare “fuori dagli schemi”; anzi tutt’altro.

26 FEBBRAIO 2021 – ROMA

GROWTH, MIND & BODY, SELF HELPPSICOLOGIA

Il pensiero laterale di Edward de Bono. Ecco la mia recensione.

 

Il pensiero laterale, quello che si estrinseca nel trovare soluzioni creative, è qualcosa che può, e dovrebbe essere, molto più quotidiano di quanto non si pensi. Il pensiero creativo, e quindi il pensiero laterale, non è infatti strettamente connesso all’espressione artistica dell’individuo, quanto piuttosto ad una volontà di cercare e trovare, una soluzione che sia libera dalle briglie del pensiero verticale, ossia quello razionale.

Il pensiero laterale lo si può più facilmente apprezzare nelle sue realizzazioni pratiche.

Edward de Bono, sintetizza appunto la differenza tra due diversi “modi” di pensare, che nella migliore delle circostanze possono essere complementari e sicuramente sono uno la sintesi dell’altro. 

Di fatto i due procedimenti sono complementari.

Il pensiero laterale è sempre ricostruibile verticalmente, ma solo a posteriori.

In prima battuta troviamo il pensiero puramente logico per il quale Edward de Bono, conia il termine di pensiero verticale, proprio ad evidenziare la consequenzialità delle fasi che lo compongono. In secondo luogo troviamo il pensiero laterale che invece, libero da schemi prefissati, spazia ovunque purché vi siano: l’intuizione, il desiderio di ricerca e di sperimentazione a guidarlo nella sua manifestazione.

Il pensiero laterale invece non richiede sempre la consequenzialità: quel che gli interessa e che la conclusione finale sia esatta.

Il pensiero laterale non si propone solo la soluzione dei problemi singoli, ma so preoccupa a che di trovare nuove interpretazioni della realtà e si interessa di idee nuove di ogni genere.

Uno degli aspetti più importanti che de Bono porta alla nostra attenzione, è che mentre i verticalisti negano completamente l’approccio creativo, chi sceglie di allenare il proprio pensiero laterale, è invece aperto a qualsiasi itinerario ideativo, purché si raggiunga una soluzione semplice e valida. 

Il metodo verticale non soltanto è, per sua natura, sterile di idee originali, ma ne ostacola concretamente il sorgere.

Quando si sceglie, di ricercare una soluzione alternativa sfruttando le illimitate possibilità che il pensiero laterale ci fornisce, si dimostra fondamentale agire sin da subito in maniera non programmatica: cambiare punto di vista, allontanarsi da ciò che stiamo osservando, girarci intorno, compiere il percorso più lungo, ribaltare mescolare e pescare a caso gli elementi che compongono il problema, sono solo alcuni dei metodi (apparentemente complessi e dispendiosi), che possiamo attuare per raggiungere una soluzione che al dunque si rivelerà profondamente semplice e immediata. Saremo portati a sorprenderci del risultato esclamando, magari proprio ad alta voce: “Ma come ho fatto a non pensarci prima?!”…ebbene significa che abbiamo trovato un’ottima soluzione al nostro problema, che però è certo non essere l’unica.

(…) ognuno al diritto di mettere in dubbio qualsiasi cosa tutte le volte che vuole, e ha il dovere di farlo almeno una volta.

Ma l’aspetto significativo, e sul quale in onestà non avevo mai posto attenzione, è che se da un lato il pensiero verticale una volta raggiunta una soluzione, ne è pienamente soddisfatto e la applica ad oltranza; dall’altro il pensiero laterale cerca costantemente nuove soluzioni, anche per il semplice gusto di farlo…come se fosse un gioco o comunque un esercizio guidato dal caso, e che possa muoversi fuori dagli schemi.

L’imprevedibilità stessa delle idee nuove sta ad indicare che esse non sono necessariamente il risultato di ragionamenti logici.

Il sentirsi pienamente soddisfatti di ciò che si ha, costituisce infatti un limite per quella che è la concezione di nuove idee e soluzioni alternative.

Quarta di copertina del libro Erotica di Ghiannis Ritsos

In un’ottica di efficientamento costante, il pensiero laterale (che ha i suoi tempi, e che a volte produci risultati riflessi” o a distanza di tempo), spesso viene etichettato come antieconomico, soprattutto in ambito scientifico. Ciò nonostante i risultati che si possono e riescono ad ottenere, allenando il nostro cervello in tal senso, ci garantiranno delle soluzioni attuabili in assoluta economia di mezzi e risorse, ripagando appieno l’investimento fatto sia in termini sia economici che di tempo.

È meglio avere tante idee da potersi permettere il lusso che alcune di esse siano sbagliate, piuttosto che saper ragionare sempre in modo impeccabile ma non avere nessuna idea.

Il pensiero verticale, si differenzia empiricamente (è davvero il caso di usare questo termine!) da quello laterale, in quanto il primo si basa su un’alta probabilità di riuscita avendo alle spalle una serie di esperienze pregresse, che ne confermano la validità ed efficacia.

Criterio della probabilità e dell’esperienza.

Ciò nonostante come si è già detto, scegliere deliberatamente di affidarsi a soluzioni “già confermate”, ci impedisce di cercarne e per estensione, di trovarne di nuove o comunque di migliorarne le prestazioni.

È possibile aumentare l’efficienza di un procedimento in due modi. Il primo consiste nel migliorare le prestazioni in modo diretto; il secondo nell’individuare e poi rimuovere gli inconvenienti che ne ostacolano il funzionamento.

Il libro “Il pensiero laterale” di Edward de Bono, è un libro la cui lettura ha le sue tempistiche. Essendo un testo ricco di esempi pratici, che si focalizzano sul processo e non sul risultato, il mio consiglio è quello di prendersi il giusto tempo per comprendere le dinamiche degli esempi proposti, in modo da interiorizzarli visualizzandoli, e chissà che tornino utili in un’occasione completamente diversa rispetto a quella di partenza.

Non è possibile guardare in una direzione nuova appuntando sempre più gli occhi nella vecchia direzione.

Il pensiero laterale non è qualcosa che ci viene comunemente insegnato, dovrà per tanto essere nostra cura, trarre insegnamento da qualsiasi esperienza e associazione di elementi. Come ben ci viene illustrato negli esempi grafici, che l’autore usa come pretesto per insegnarci che la nostra mente ragiona a grappolo, scopriamo che tanti più elementi base conosciamo (che lui ci propone nella figura delle T), tanto più saremo in grado di leggere ed interpretare la realtà che ci si presenta davanti.

L’insegnamento informa, non crea.

[il pensiero laterale] È un’attitudine e un abito mentale.

Nel “corretto” uso del pensiero laterale infatti, la casualità degli eventi e la libera associazione, sono da considerarsi fattori cardini, proprio perché concretizzano il concetto di assenza di percorsi obbligati e prestabiliti, che invece caratterizzano il pensiero verticale. Dunque tanto più noi faremo esperienza varia, tanto più avremo delle chiavi di lettura e di azione, per così dire pronte all’uso, garantendoci una risposta agli eventuali problemi quanto più rapida (e quindi apprezzabile), sia possibile in base al nostro bagaglio esperenziale. Da questo punto di vista Edward de Bono, ci invita a inventare dei giochi creativi, condividendo se possibile, questa esperienza con altri magari durante una cena con degli amici. In fondo sarà divertente!

Se il pensiero laterale sceglie il caos è perché vuole servirsene come metodo.

Il caso non ha limiti, l’immaginazione invece ne ha.
I quattro principi operativi sono:

1. L’identificazione delle idee dominanti, o polarizzanti

2. La ricerca di nuovi metodi di indagine della realtà

3. L’evasione dal rigido controllo esercitato dal pensiero verticale

4. L’utilizzazione dei dati e delle circostanze fortuite

Per omaggiare questo libro che ho riletto una seconda volta a distanza di dodici anni, ho deciso di dare dei titoli alternativi ad ogni capito in modo sia da facilitarmi nella comprensione di questo testo, che in alcuni e sporadici momenti non è particolarmente leggibile (in fondo è stato scritto nel 1967), sia per allenare un po’ il mio cervello, a mo’ di gamification!

Un’altra tecnica utile consiste nell’esporsi di proposito una grande quantità di stimoli aggirandosi luoghi pieni di oggetti a cui non si sarebbe diversamente prestata attenzione

Osservare tutto ciò che attira l’attenzione. Spesso sono le cose più trascurabili a far nascere nella mente idee originali. (…) nei recessi della mente si nasconde sempre un problema in attesa di un’idea.

Il dato di per sé non è significante; significanti sono invece i motivi per cui la mente ne viene interessata, significante è la capacità del dato di suscitare uno schema di pensiero o di adattarvisi.

E se pensi che dare un titolo a ogni capito sia facile, provaci e poi magari mi fai sapere com’è andata per te.

(…) improvvisa illuminazione interiore (…) visione delle cose completamente nuova.

Il pensiero verticale è prevedibile perché preconfezionato e ripetitivo, dunque anche gli effetti esteriori che si manifestano in chi scegli di approcciare alle situazioni servendosi di questo metodo, mostrerà quelle che sono le proprie idee dominanti. Per idee dominanti vanno intese quelle scelte che attuiamo in maniera istintiva, poiché ci sono note, e che dunque percepiamo come una sorta di zona di comfort in cui ci rifugiamo, nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un problema.

Per diventare familiare, una figura deve ricorrere di frequente, perché essa acquisti un significato è necessario che ogni volta si ripete un determinato comportamento, associato alla figura.

Un problema può avere soluzioni facili o complicate: tutto dipende dall’angolazione dalla quale lo si affronta.

Un’idea veramente nuova non appare mai bizzarra perché ha una sua interiore indipendenza e compiutezza. Le idee bizzarre non sono idee nuove ma semplici distorsioni delle vecchie.

Scegliere di rifugiarsi in esperienze già vissute, è una scelta comoda che però non ci fa rendere conto che in realtà disponiamo già di tutto quanto ci occorre per evolvere, e raggiungere un risultato migliore o comunque alternativo

Costa fatica abbandonare una determinata impostazione per mettersi alla ricerca di una diversa. Molto spesso, però, tutti gli elementi base di una soluzione nuova sono già disponibili: si tratta solo di comporli secondo una nuova formula.

La gravità, sta nel fatto che spesso l’essere umano non è neppure interessato a questo processo evolutivo, relegandosi in una situazione stagnante poiché incapace di  adoperarsi in una qualche evoluzione. È più che naturale essere titubanti nel momento in cui si percorre una strada non ancora battuta, ciò nonostante l’esplorare è parte integrante del nostro essere umani! Ebbene Edward de Bono, in “Il pensiero laterale” ci ricorda (tra le righe), che la vita è scoprire ed esplorare continuamente, migliorando così sia le nostre personali vite che quelle altrui, come del resto hanno fatto le grandi menti, che appunto vengono citate in questo libro, che è anche un po’ un testo psicologico. Non a caso Edward de Bono era proprio uno psicologo, e nelle sue origini isolane (Malta), è forse possibile rintracciare la curiosità verso l’esplorazione e l’andare oltre i limiti fisici e quindi mentali in cui possiamo ritrovarci.

Ogni iniziativa che non pone problemi non hanno eppure molte possibilità di sviluppo. (…) il compiacimento per i risultati ottenuti e la mancanza di problemi non significano altro che accettazione di soluzioni mediocri e mancanza di immaginazione.

Altre citazioni 

L’entusiasmo che è un’idea può aver sollevato nel suo stadio concessionario e si attenua molto quando si tratta di attuarla.

Obiettivo del pensiero laterale è la concezione di idee nuove.

Il pensiero laterale non interviene solo nelle fasi di ricerca e di creazione del prodotto ma anche in quella organizzativa e di studio dei metodi.

La divisione migliore è quella più utile.

Un rapporto mostra come due parti erano combinate tra loro prima della divisione.

L’impiego del pensiero laterale è indispensabile in quelle situazioni problematiche che il pensiero verticale non è stato in grado di risolvere.

Ė possibile arrivare a una certa comprensione del meccanismo intellettivo attraverso un esame delle manifestazioni esteriori del pensiero che rechi testimonianza degli schemi mentali di partenza.

E se non ha avuto occasione di conoscere la vecchia impostazione di un problema [ha] migliori possibilità di elaborarne una originale.

Poche cose danno un maggior senso di frustrazione di un impegno che cerca ansiosamente il modo di realizzarsi.uno sforzo deve essere anche ripagato da qualche risultato tangibile, e quanto più tempestivamente il risultato arriva, di altrettanto l’impegno ne risulta stimolato.

L’ideatore di una teoria è continuamente dominato dal desiderio di svilupparla perché la sente propria.

Idee dominanti possono essere più dannose che utili

Info bibliografiche

Titolo originale: The use of lateral thinking

Autore: Edward de Bono

Prima pubblicazione: 1967

Prima pubblicazione in Italia: 1969 (Rizzoli)

La mia edizione: VIII edizione BUR 2008

Editore italiano: BUR (diritti della Rizzoli)

Collana: Psicologia e società

Genere: Auto aiuto, Growth, Mente e corpo, Psicologia

Numero di pagine: 182 (illustrazioni incluse)

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Capitoli

Capitolo primo. Le differenze tra il pensiero verticale (alta probabilità, consequenzialità) e il pensiero laterale (bassa probabilità, lateralità).

Capitolo secondo. L’incapacità del metodo logico, rigidamente applicato, di trovare soluzioni originali.

Capitolo terzo. L’effetto polarizzante delle idee dominanti.

Capitolo quarto. L’abitudine di pensare per immagini.

Capitolo quinto. La ricerca sistematica di una pluralità di impostazioni alternative dei problemi.

Capitolo sesto. Il prepotere del pensiero verticale come ostacolo al sorgere di idee nuove.

Capitolo settimo. L’utilizzazione degli eventi fortuiti e il riconoscimento della loro validità.non interferire, ma favorirne l’evolversi per poi raccoglierne i frutti.

Capitolo ottavo. La dimostrazione dell’utilità pratica di un tipo di applicazione del pensiero laterale.

Capitolo nono. Gli svantaggi che derivano dal mancato uso del pensiero laterale.

Capitolo decimo. L’utilizzazione del pensiero laterale e l’impiego di idee nuove.

 

Capitolo 1 [Novità laterale]

Capitolo 2 [Nuovi dati o nuovo metodo?]

Capitolo 3 [Il dubbio delle idee dominanti: ne vale la pena?] 

Capitolo 4 [Le combinazioni standard: notorietà degli elementi e usualità di rapporti!]

Capitolo 5 [Il pensiero laterale alla pari di un’equazione con più uguali!]

Capitolo 6 [Il terzo principio: Le possibilità del caos omnidirezionale come fluidità creativa]

Capitolo 7 [Il quarto principio: L’abilità di trovare profitto dal caso]

Capitolo 8 [Utilità postuma]

Capitolo 9 [La verticalità è prevedibile]

Capitolo 10 [Duttilità mentale]

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