da Thinka | 9 Agosto 2021 | Books, Evidence TWO, Racconto breve
Mi ha molto sorpresa arrivare a leggere l’ultimo dei 10 racconti che compongono “Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg e apprendere che l’autrice ritiene che “le piccole virtù” non sono le cose più importanti da insegnare ad un figlio!
Tutti i racconti del resto affrontano problemi di vita quotidiana, quasi ordinari e che tuttavia toccano nel profondo la Ginzburg, che trova qui raccolti i suoi racconti, che lei scrisse e pubblicò in momenti diversi della sua vita e su diversi quotidiani.
I racconti sono divisi in due parti; sei racconti compongono la prima parte mentre gli altri quattro compongono la seconda.
- Inverno in Abruzzo 1944
- Le scarpe rotte 1945
- Ritratto d’un amico 1957
- Elogio e compianto dell’Inghilterra 1961
- La Maison Volpè 1960
- Lui e io 1962
Parte seconda:
- Il figlio dell’uomo 1946
- Silenzio 1951
- I rapporti umani 1953
- Le piccole virtù 1960
Credo che l’organizzazione di questa raccolta sia stata ben concepita; infatti mentre nella prima parte troviamo situazioni destabilizzanti e drammatiche e che in generale ci parlano di sofferenza, rinunce e sacrifici; la seconda parte invece, che è quella che preferisco, ci parla di speranza e certezza.
Diversamente dalla prima parte infatti, non si parla delle certezze che ci vengono strappate, ma di quelle che creiamo e manteniamo nelle nostre vite, con amore e voglia di sentire la terra sotto i piedi in una concretezza che la scrittura di Natalia Ginzburg riesce perfettamente ad esprimere.
Leggendo questi racconti ci rendiamo immediatamente conto che sono “maturi”, ma non dal punto di vista letterario, quanto piuttosto da quello personale: di lei come ragazza, di lei come donna, di lei come figlia, di lei come madre, di lei come moglie.
Questi racconti ci offrono uno spaccato della sua vita personale. L’autrice abbandonando la lirica ed emotiva letteratura femminile, si immerge in un profondo percorso di introspezione, che ci guida e ispira a farlo a nostra volta, rivalutando quelle che sono le nostre priorità e il nostro stesso modo di stare nel mondo.
La Ginzburg usa fatti comuni e noti ad un vasto pubblico, O più semplicemente all’essere umano; come i rapporti con gli amici dello stesso sesso o di sesso diverso, l’amore che sboccia, le differenze con il partner, quel partner che non ci saremmo mai aspettati diventasse tale, ecco che al dunque volge lo sguardo al suo passato.
Il tono che intride e funge da filo conduttore della raccolta è quel sentimento misto tra lo smarrimento per il non sapere cosa fare della propria vita, in un momento in cui assolti tutti i proprio doveri di studentessa, figlia, moglie e madre ecco che ci si rende conto di aver ubbidito a regole che non sempre le hanno permesso di esprimersi appieno.
Quando in Le scarpe rotte ci parla del suo trascorrere del tempo con una sua amica squattrinata e di avere entrambe un solo paio di scarpe malandate, ecco che quanto appena detto risulta lampante! Lei non si sente a disagio nel non avere mezzi o nello scegliere consapevolmente di vivere con un tenore di vita più libero e svincolato dalle etichette.
Era facile individuare i poveri e i ricchi, guardando il fuoco acceso
Inverno in Abruzzo
Infatti pone sempre il pensiero e quindi ci fa immaginare il suo senso di dovere verso la famiglia, che si occupa dei suo figli e ai quali non fa mancare nulla tra cui le scarpe, e che a lei stessa non sarebbe consentito di indossare quelle stesse scarpe bucate:
(…) in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte.
Le scarpe rotte
che per lei sono da un lato sì l’espressione della sua ristrettezza di mezzi finanziari e da un lato però anche l’emblema della possibilità di essere come si vuole e chi si vuole in questo mondo, proprio come la sua amica che in qualche modo guarda con una sorta di affettuosa invidia, proprio in funzione della corda che prima o poi la costringerà a “tornare a casa” mentre la sua amica ne è sprovvista in quanto priva di legami.
(…) e scoprimmo, con profondo stupore, che anche nella nostra grigia,
pesante e imponente città si poteva fare poesia.
RITRATTO D’UN AMICO
Ed ancora torna la casa quando ci parla della Torino che sente casa sua, del confronto tra l’Inghilterra e l’Italia, portando sempre a noi che la leggiamo quel senso di nostalgia e calore domestico che sente mancare nella sua vita, come pure quell’impulso “giovanile” di voler scoprire ed esplorare sia sé stessa che il mondo, esprimendo sempre se stessa al meglio come ci parla in “Un amico” dove celebra le qualità di Cesare Pavese.
(…) è un paese dove si sanno costruire le case.
ELOGIO E COMPIANTO DELL’INGHILTERRA
In realtà rievoca un momento della sua vita in cui era ancora capace di essere la versione migliore di se stessa, perché metteva se stessa a contatto con stimoli che erano funzionali alla sua crescita e a nutrire quella che è la sua unica vocazione: lo scrivere!
Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo.
Il mio mestiere
Io non so amministrare il tempo. Lui sa.
Lui e io
Quando in il “Il mio mestiere” ci parla di come abbia voluto per amore dei figli mettersi da parte e mettere da parte la scrittura, ecco che sentiamo tutto il conflitto di essere felice concretamente per due aspetti della sua vita: la famiglia e la sua vocazione, che tuttavia non sempre sono stati facilmente conciliabili e tra i quali non sempre si sono riusciti ad intessere le migliori gerarchie in termini di priorità, almeno per quello che riguarda il suo essere una scrittrice che lei percepisce come un qualcosa che può esistere solo nella sua vecchiaia, quando in qualche modo non da “fastidio” a nessuno e non ci sono più “altri” ruoli per lei da interpretare, che abbiano più importanza della sua stessa essenza.
truffare con parole che non esistono davvero in noi e che abbiamo pescato
su a caso fuori di noi e che mettiamo insieme
con destrezza perché siamo diventati piuttosto furbi.
Eppure Natalia Ginzburg ringrazia con profondo affetto tutto quello che l’ha tenuta distante dal suo scrivere, al pari di quello che ce l’ha avvicinata, poiché lei nulla rinnega della sua vita e tutto è funzionale ad essere se stessa, ossia la scrittrice che è in realtà.
(…) in cui sarò una vecchia scrittrice famosa.
Scarpe rotte
A conti fatti il suo mestiere è lei che se l’è sempre costruito, contrastando le innumerevoli critiche sminuenti della famiglia in particolare dei suoi fratelli, il fatto che sin da bambina “lei” sapeva perfettamente quale era la sua priorità mettendo da parte praticamente tutto fuorché lo sperimentare e il trovare quindi il suo modo di esprimersi nel testo scritto, vuoi ora in forma prosaica o dei primi versi.
Diventavamo in sua compagnia molto più intelligenti;
ci sentivamo spinti a portare nelle nostre parole
quanto avevamo in noi di migliore e di più serio.
RITRATTO D’UN AMICO
Il vero banco di prova in fondo, è sempre l’esperienza diretta, quella nella quale scrivendo capiamo la “forma” nella quale ci sentiamo a nostro agio e nella quale riusciamo a dare il meglio di noi, come del resto ci capita anche nella vita.
(…) invece quando scrivo delle storie sono come uno che è in patria.
Il mio mestiere
Quando scrivo qualcosa, di solito penso che è molto importante e che io sono un grandissimo scrittore.
Credo succeda a tutti. Ma c’è un angolo della mia anima dove so molto
bene e sempre quello che sono, cioè un piccolo, piccolo scrittore.
Il mio mestiere
Vero è che in “Piccole virtù” di Natalia Ginzburg l’autrice stessa confuta l’importanza delle piccole cose poiché per loro natura non ne possono contenere di grandi, eppure nonostante questo credo che le piccole virtù possano intendersi in conclusione in due maniere differenti, ossi come se da un lato ci fossero i valori, quelli di cui parla appunto in “Le piccole virtù” mentre da un lato ci sono le virtù delle piccole cose, ossia tutte quelle che cooperano a definire chi siamo e come siamo.
Si nutre e cresce in noi.
IL MIO MESTIERE
Altre citazioni
Nessun scrittore italiano capisce, come lei, cosa sia una famiglia. Vivere insieme, sedere alla stessa tavola; essere avvolti dalle stesse pareti e dagli stessi mobili; conoscere soltanto noi quel modo ostentato o dimesso di pronunziare una parola, intendere in pochi una vecchia ricetta di cucina, ricordare insieme la storia di un cassettone o di un quadro, e i loro spostamenti attraverso la casa…
Pietro citati
Titolo originale: Le piccole virtù
Autore: Natalia Ginzburg
Prima pubblicazione: 1962
Prima pubblicazione in Italia: 1962
La mia edizione: Seconda edizione 1962
Editore italiano: Einaudi
Collana: –
Genere: Racconto breve
Numero di pagine: 136
Preceduto da: –
Seguito da: –
da Thinka | 25 Gennaio 2021 | Auto aiuto, Books, Mind & Body, Novella, Racconto breve, Romanzo
Il gabbiano Jonathan Livingston nato da Richard Bach, è divenuto un simbolo di libera espressione di sé stessi. La guida ideale di chi ha la forza di ubbidire alla propria legge interiore quando sa di essere nel giusto, nonostante i pregiudizi degli altri, e chiunque legga questa breve novella, saprà apprezzare il suo messaggio schietto e diretto.
Jonathan Livingston è un gabbiano che abbandona la massa dei comuni gabbiani per i quali il volare non è che una semplice mezzo e goffo per procurarsi il cibo e impara a eseguire il volo come atto di perizia e intelligenza, fonte di perfezione e di gioia.
Diventa così un simbolo, la guida ideale di chi ha la forza di ubbidire alla propria legge interiore quando sa di essere nel giusto, nonostante i pregiudizi degli altri; di chi prova un piacere particolare nella fare bene le cose a cui si dedica: una specie di “guru” istintivo e alla mano ma non per questo meno efficace nel suo insegnamento.
E con Jonathan il lettore, affascinato dell’insolito clima della narrazione, viene trascinato in una entusiasmante avventura di volo, di aria pulita, pura di libertà.
DALLA SOVRACCOPÈRTA
Liberamente ispirato a un pilota acrobatico statunitense di nome John H. “Johnny” Livingston, il gabbiano protagonista di questo romanzo, che ha più il sapore di una novella, diventa la nostra guida spirituale che ci insegna che abbiamo la possibilità di essere davvero liberi, solo quando accettiamo di essere noi stessi.
(…) loro hanno compreso ciò che veramente sono, e ora tendono a metterlo in pratica. Hanno cominciato ad adeguarsi a se stessi!
Il messaggio che Richard Bach racchiude in questo romanzo, è davvero chiaro e il primo punto che salta agli occhi, almeno a tutte quelle persone che leggono prima l’indice e poi iniziano effettivamente il libro, è che questa novella è divisa in tre parti, quasi fossero le tre fasi della vita; e a conti fatti questa percezione viene confermata dagli stessi fatti di cui l’autore ci mette a parte.
Per chi non lo sapesse Richard Bach è un aviatore oltre che uno scrittore. Appena si cerca in rete (si gooooogla Richard Bach) troviamo che le prime immagine lo ritraggono vicino al suo Piper Super Cub, che è un aereo dal grande pregio di consentire al pilota di alzare il naso verso il cielo e incontrando una superficie trasparente, questi può vedere l’azzurro del cielo. Probabilmente è una delle cose più belle del mondo per un aviatore o pilota che dir si voglia…provare la sensazione di immergersi nel blu del cielo, ed infatti la copertina de Il gabbiano Jonathan Livingston è proprio di un blu profondo!
L’unica vera legge è quella che conduce alla libertà (…) altra legge non c’è.
Più simile a un racconto popolare, tenuto conto anche dello stile di scrittura quasi “dialettico”, questo romanzo, che di certo non aveva la pretesa di diventare il bestseller mondiale che è oggi, racchiude in sé un messaggio positivo e incoraggiante nei confronti della vita stessa e della nostra capacità di goderne appieno.
A me preme soltanto di sapere.
Il gabbiano Jonathan Livingston, è l’emblema della volontà di affermare e scoprire sé stessi, anche se questo significa prendere le distanze dai propri affetti, e lasciare la propria casa nel momento in cui il richiamo della nostra intrinseca legge, pretende di essere applicata alla nostra quotidiana esperienza.
Ci sono tante cose da imparare!
La parte di questo romanzo che preferisco tra tutte, è quella in cui sconfortato dagli scarsi risultati il gabbiano Jonathan, promette a se stesso di rinunciare, di smetterla di tentare di essere diverso dagli altri dello Stormo.
Basta! non avrebbe dovuto dar più retta a quel demone che l’istigava a imparare cose nuove.
Ma come tutte quelle promesse che non nascono dall’amore, ecco che Jonathan non poté mai tenere fede alla sua, in realtà non lo fece neanche per un giorno, per il semplice fatto che lui non doveva tentare di essere, lui era. E questo ci insegna nella più poetica delle maniere, che l’unica cosa che siamo destinati a fare, è di essere fedeli a noi stessi e alla nostra natura poiché, questa avrà sempre la forza di esprimersi e di farsi apprezzare dal mondo intero, riuscendo a diffondersi come si diffonde il profumo del mare.
Lui si sentiva vivo come non mai, e fremente di gioia, fiordi aver domato la paura.
Vero è che il percorso iniziale, è qualcosa che siamo tenuti ad affrontare da soli, e questo ci pone dinnanzi ad ogni nostra paura, ad ogni nostro limite temporaneo, ma immediatamente siamo ripagati dal coraggio, e sperimentiamo la libertà derivante dalla conoscenza.
Ci solleveremo dalle tenebre dell’ignoranza, ci accorgeremo d’essere creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi! Impareremo a volare!
Per Jonathan Livingston il volo era molto di più che un mezzo per accaparrarsi del cibo tra i pescherecci, battendo semplicemente le ali. Il volo per quest’uccello dal bianco piumaggio era espressione del sé, eppure la consapevolezza che avere delle ali significa poter essere concretamente liberi,
Ma la velocità era potenza, era gioia, era bellezza.
è qualcosa che nello Stormo in cui era nato Jonathan, era più simile ad una eresia, che al raggiungimento di un grandioso risultato.
Chissà perché, (…) la cosa più difficile del mondo è ecco vi convincere un uccello che egli è libero? E che può dimostrarlo a se stesso, solo che ci metta un po’ di buona volontà? La libertà basta solo esercitarla. Ma perché? Perché deve essere tanto difficile?
Chiunque riesca a sentire dentro di sé l’ardente fuoco della vita, dovrà come prima e decisiva prova, sperimentare il muro dell’incapacità degli altri di vedere con gli occhi della mente.
Si rifiutavano di aprire gli occhi per vedere.
Eppure, come Jonathan ci insegna, non possiamo colpevolizzare gli altri per questo loro limite iniziale, ma possiamo e dobbiamo invece, mostrargli la bellezza della nostra visione, sperimentando in prima persona la sua magnificenza liberatoria e accrescitiva.
Quel che aveva imparato per lo Stormo, se lo godeva adesso da sé solo. Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita d’un gabbiano. Ma, con l’animo sgombro da esse, lui, per lui, disse contento, e visse molto a lungo.
Come capita spesso di sentire, esistono al mondo delle personalità che si distinguono dagli altri come mosche bianche. E persino nel momento in cui queste “creature immacolate”, trovano un nuovo gruppo in cui sperimentare la grandezza di loro stessi,
Qui, gli altri gabbiani la pensavano come lui. Per ciascuno di loro, la cosa più importante della vita era tendere alla perfezione in ciò che più importava, cioè nel volo.
anche allora risultano i più grandiosi di tutti, poiché questa caratteristica è tanto nella loro natura, quando ancor di più nella loro dedizione al loro magnifico sogno.
E poi, altre cento prima di capire che lo scopo della vita è appunto quello di adeguarci il più possibile a quell’ideale. S’intende che per noi vale la stessa regola, anche adesso: scegliamo il nostro mondo successivo in base a ciò che apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima, e avrai anche la le stesse limitazioni che hai qui, gli stessi handicap.
Così nel momento in cui ci rendiamo conto che questi nuovi amici e compagni di “esperimenti” ci ammirano, ecco che abbiamo trovato i nostri discepoli, che per noi e insieme a noi diffonderanno anche agli altri gabbiani la bellezza del volo acrobatico
No, Jonathan, un posto come quello, no, non c’è. Il paradiso non è mica un luogo. Non si trova nello spazio, e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti.
e della sua perfetta esecuzione, che al dunque può davvero essere una valida missione, cui votare la propria esistenza terrena e spirituale.
Velocità perfetta, figlio mio, vuol dire solo esserci, essere là.
Ciò che scalda davvero il cuore, oltre all’insegnamento che si può e deve trovare soddisfazione nel semplice fare le cose al meglio, è che anche coloro che le fanno al meglio possono, ed è bene che sia così, avere un loro mentore: un loro Ciang
Sì che invece puoi riuscirci, vecchio Jonathan. Perché tu hai imparato tutto. Hai terminato un corso d’istruzione, e ne hai cominciato un altro, per te. Adesso.
che possa infondere sia coraggio, sia mostrare loro la possibilità di uno scopo e un obiettivo più elevato infondendo nuova linfa nel discepolo e fornendogli tutti gli strumenti che possano consentirgli, indipendentemente dall’eta e dal luogo di partenza, di volare dove e come, nessun altro gabbiano aveva mai neanche osato volgere il pensiero.
Per volare alla velocità del pensiero, verso qualsivoglia luogo, (…) tu devi innanzitutto persuaderti che ci sei già arrivato.
Il primo tra gli strumenti che ciascun esploratore della vita deve avere sempre a portata di mente, è tanto la consapevolezza di sé stesso/a, tanto la chiara visione di ciò che il suo spirito indomabile vuole raggiungere per, finalmente chetarsi avendo la certezza della riuscita.
Funziona sempre, quando sai quello che fai.
Ed è così che completato il suo addestramento, anche se in effetti la vita è una prova continua, il gabbiano Jonathan Livingston tornerà con il suo Stormo, a quello d’origine dimostrandoci che il perdono è essenziale per andare nel nostro futuro, che altrimenti ci sarebbe precluso.
Ma nessuno di loro, neppure Fletcher Lynd, riusciva a capacitarsi che i voli del pensiero possano essere tanto reali quanto i voli nel vento e con le penne. Il vostro corpo, dalla punta del becco la coda, dall’una all’altra punta delle ali, (…) non è altro che il vostro pensiero, una forma del vostro pensiero, visibile concreta. Spezzate le catene che imprigionano il pensiero, e anche il vostro corpo sarà libero.
Nel momento in cui abbandoniamo il risentimento e ci doniamo, allora come il serpente cambia la sua pelle, allora rinasciamo noi stessi per volare liberi, ovunque e con chiunque.
Tu sei libero di essere te stesso, questa è la libertà che hai, adesso è qui, e nulla ti può essere di ostacolo.
ALTRE CITAZIONI DI JONATHAN LIVINGSTON
Ma se superi il tempo e lo spazio, non vi sarà nient’altro che l’Adesso e il Qui, il Qui e l’Adesso. E non ti sa che, in questo Hic et Nuno, noi avremo occasione di vederci (…)?
Ci sono tante cose da imparare!
Ogni giorno, lui apprendeva cose nuove.
Ci sono tante cose da imparare!
Tu sei quello che ha meno paura di imparare, tra tutti i gabbiani che ho visto in diecimila anni.
E curiosi di quella novità: volare per la gioia di volare!
Il fatto è, Fletcher, che bisogna superarli un po’ alla volta, i nostri limiti, con un po’ di pazienza. Qui sta il trucco.
Per tutte le cose, Fletcher, è questione di esercizio…!
Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che già conosci che conosci già, allora imparerai come si vola.
Jonathan è quel vivido piccolo fuoco che arde in tutti noi, che vive solo per quei momenti in cui raggiungiamo la perfezione.
Personaggi
- Jonathan Livingston: gabbiano protagonista del romanzo breve, che ribellandosi alle regole del suo stormo decide di seguire la propria voce interiore, inseguendo con abnegazione il suo desiderio: volare alla perfezione, per lui la più elevata forma di libertà
- Sullivan: uno dei gabbiani amici di Jonathan, con cui stringe amicizia nella dimensione intermedia, confusa con il paradiso, ma che seppur bravo nel volo non è minimamente al livello di Jonathan
- Fletcher Lynd: giovane gabbiano reietto come fu alla fine della “parte prima” lo stesso Jonathan Livingston, e che divenne suo allievo e quindi a sua volta maestro
- Ciang: è il gabbiano Anziano, e maestro di Jonathan che questi incontra nella dimensione intermedia, nella “parte seconda” e che insegnerà all’allievo il potere della mente nel controllo del corpo.
- Henry Calvin: uno dei discepoli sulla terra di Jonathan Livingston che apparteneva allo Stormo Buonappetito
- Gabbiano Terence Lowell: uno dei discepoli sulla terra di Jonathan Livingston che apparteneva allo Stormo Buonappetito
- Gabbiano Kirk Maynard: uno dei discepoli sulla terra di Jonathan Livingston che apparteneva allo Stormo Buonappetito, che non sapeva volare per nulla
- Charles Roland: uno dei discepoli sulla terra di Jonathan Livingston che apparteneva allo Stormo Buonappetito
- Judy Lee: uno dei discepoli sulla terra di Jonathan Livingston che apparteneva allo Stormo Buonappetito
Termini & nomi
- Stormo Buonappetito: lo stormo cui originariamente apparteneva Jonathan Livingston, e che non comprendendo e condividendo lo scopo della sua autorealizzazione, in virtù delle loro leggi lo esilia
- Assemblea Generale: concilio degli anziani, e di tutti i gabbiani che si riunisce in merito a questioni importanti. Nella fattispecie in merito alla decisione di esiliare il gabbiano Jonathan
- Scogliere Remote: luogo che il gabbiano Jonathan Livingston scegli come luogo iniziale del suo esilio
- Reietti: tutti quei gabbiani che vengono allontanati dallo Stormo originario, poiché non rispettano le regole imposte loro
- Grande Gabbiano: una sorta di divinità cui tendere
- Legge del Grande Gabbiano: l’unica legge che tutti i gabbiani dovrebbero rispettare: la libertà
- Figlio del Grande Gabbiano: date le sue straordinarie doti Jonathan Livingston viene considerato da molti l’erede del Grande Gabbiano; qui emerge la connessione col cristianesimo oltre alla cultura New Age che intride la novella
Titolo originale: Jonathan Livingston Seagull
Autore: Richard Bach
Fotografie: Russel Munson
Prima pubblicazione: 1970
Prima pubblicazione in Italia: 1973
La mia edizione: XXX edizione Rizzoli Settembre1995
Editore italiano: Rizzoli
Collana: –
Genere: Romanzo, Racconto breve, Novella, Auto aiuto, Mente e corpo
Numero di pagine: 93 (foto incluse)
Preceduto da: Niente per caso (Nothing by Chance, 1969)
Seguito da: Un dono d’ali (A Gift of Wings, 1974)
CAPITOLI
- 1. Parte prima
- 2. Parte seconda
- 3. Parte terza
da Thinka | 2 Gennaio 2021 | Books, Racconto breve
La fattoria degli animali di George Orwell è una satira davvero tagliente, su quello che è il ruolo del potere all’interno di una società… comunque la si intenda.
É forse perché i maiali in termini biologici sono molto simili all’uomo, che George Orwell ne La fattoria degli animali, li sceglie come “alternativa” animale all’Uomo; o è forse perché i maiali a prescindere dalla loro razza, vengono considerati (dall’uomo) come esseri sporchi e ripugnanti.
Qualunque sia il motivo iniziale di questa scelta, la storia funziona perfettamente e si segue ogni evento con attenzione e sgomento, perché è tremendamente onesto e immancabilmente riconosciamo in noi o in altre persone che abbiamo incontrato, lo stesso schema comportamentale di questo o di quell’altro animale che lavora (più che vive) ne La fattoria degli animali.
In questa palese satira politica che attacca palesemente Stalin, George Orwell dimostra tutto quello che è il suo disprezzo per i regimi dittatoriali e repressivi che premono sulle spalle del proletariato (tutti gli animali tranne…), mantenendo e anzi aumentando nonostante i periodi di “magra”, i benefici riservati alla casta governativa e dirigente (…i maiali).
L’ambientazione scelta è quella di una fattoria dove gli animali, a seguito di un discorso fatto dal Vecchio Maggiore, un maiale che morirà poco dopo, vengono mossi ad attuare una rivoluzione in nome della loro libertà. E’ l’uomo quello a cui si ribellano, nella fattispecie il Signor Jones, che come in qualsiasi altra fattoria, non solo dell’Inghilterra ma del mondo intero, sfrutta il loro lavoro lasciandogli null’altro che un magro pasto.
Persino la meritata vecchiaia (pensione), diventa qualcosa a cui si può rinunciare, o meglio, usare come merce di scambio: gli animali vecchi, indipendentemente dal loro contributo alla fattoria, devono infatti accettare di diventare carne da macello.
la sua abilità nel parlare e convincere gli altri era impareggiabile
La Rivoluzione preannunciata dal Vecchio Maggiore ha dunque luogo, in maniera del tutto spontanea, e parrebbe dare agli animali la possibilità di poter finalmente vivere del loro lavoro. Ed in effetti così fu, la nuova Fattoria degli animali venne fondata all’insegna del comunismo, con un codice stabilito in sette semplici regole, che vennero dipinte per promemoria futuro. Peccato che nessuno degli animali, a parte i maiali, sapeva leggere!
Quattro gambe buono, due gambe cattivo.
Un po’ raccogliendo l’eredità del Vecchio Maggiore, un po’ per il fatto che i maiali effettivamente avevano doti “mentali” più sviluppate, furono tre di loro Palladineve e Napoleone, insieme con Piffero, che a tempo debito divenne il migliore dei bracci destri, a prendere le redini dalla fattoria.
(…) nel sentire Piffero che descriveva la scena in modo così vivido, agli animali sembrò di ricordarla.
Purtroppo i primi due avevano l’abitudine di essere costantemente in disaccordo; a prescindere dalla mozione che in questa o quell’altra domenica si stava votando, i due non facevano altro che creare una frattura, per così dire, nell’opinione pubblica. Questa situazione non fa altro che proporre in satira le dinamiche di un governo bicamerale, in cui non sempre si raggiunge la soluzione migliore per le masse, o meglio per i singoli.
Ed ecco che George Orwell ci propone il caso estremo di un colpo di stato, in cui Napoleone (tanto per dare un nome a caso), stanco di condividere il potere con Palladineve (che diverrà il capro espiatorio di ogni male della fattoria sotto il governo di Napoleone), lo scaccia dalla ormai sua fattoria, per mezzo di aguzzini personali: i cani di una cucciolata della cui crescita si occupò personalmente; non che in fondo avesse molto altro da fare!
Nascondere tale stato di cose al mondo esterno era una necessità vitale
Gli animali sapevano perfettamente come mandare avanti quella che credevano essere la loro fattoria: Vi fu però come in ogni “nuovo governo”, chi non riuscì ad adattarsi alla nuova situazione come ad esempio Mollie, la vanitosa puledra più innamorata dei suoi nastri che del suo amor proprio; e chi invece, come la gatta e l’asino Beniamino, che in fondo non cambiarono poi molto il loro modo di stare “nella società”.
Il problema della manodopera non era forse uguale dappertutto?
Ma ogni realtà ha bisogno di equilibrio, e quindi c’era chi come Boxer, in nome di un ideale più grande, si faceva carico non solo del lavoro che altri lasciavano indietro, ma anche di tutto quanto era in suo potere, al fine di garantire il benessere della collettività, che superava di gran lunga (ma non per tutti), il benessere del singolo.
Niente sembrava tenerlo in piedi se non la sua volontà di andare avanti
Gli uomini non riuscivano a credere all’andamento prolifico di quella fattoria unica nel suo genere, e nemmeno le loro incursioni e le sfide con cui il mondo esterno metteva alla prova questo angolo di paradiso (per citare il film della Walt Disney Mucche alla riscossa, piuttosto pertinente in questo contesto), riuscivano a scalfire la coesione di chi è unito nello spirito.
Può darsi che la loro vita fosse dura e che non tutte le loro speranze si fossero realizzate;
ma erano consapevoli di essere diversi dagli altri animali
Ma come ogni bravo stratega quale Napoleone diventò, sono le lotte intestine a destabilizzare davvero una società,
accentra sotto di se tutto il potere con astuzia e cupidigia ripristinando di fatto la situazione che si aveva con gli umani
e così agendo con infima astuzia, da un lato concedeva (?) onorificenze, festività, doppie razioni di cibo; dall’altro distorceva le informazioni puntando sull’ignoranza di quelli che oramai a tutti gli effetti, erano diventati sudditi inconsapevoli.
E poi a quell’epoca erano schiavi, mentre ora erano liberi
Gli animali infatti avvertivano qualcosa di dissonante, qualcosa di diverso dal progetto originario, ciò nonostante la loro ignoranza e abitudine al lavoro, non gli diede mai la capacità di capire e quindi agire per attuare il vero messaggio del Vecchio Maggiore.
Un maiale camminava eretto sulle zampe posteriori.
E non fu certo un caso, perché Napoleone (la mente) insieme con Piffero (il braccio), si accertarono di agire come il pifferaio magico e d’incantare a loro piacimento quegli animali che garantivano il loro status sociale, che sempre più divenne quello dell’uomo dal quale si erano ribellati.
era già impossibile distinguere l’uno dall’altro
Ciò che traiamo, in termini non politici da La fattoria degli animali, è che la verità sta nel fatto che un gruppo (comunque lo si intenda) e per estensione una società, funziona bene solo quando si condividono gli stessi ideali e si permette all’equilibrio di fare il proprio mestiere, guidando tutti ad offrire un contributo in base ai propri mezzi, conquistando una quotidiana armonia fatta anche del giusto riposo.
PERSONAGGI
GLI ANIMALI
- Vecchio Maggiore: pluripremiato suino di razza Middle White di dodici anni
- Campanula: uno dei cani della fattoria degli animali
- Jessie: uno dei cani della fattoria degli animali
- Pizzico: uno dei cani della fattoria degli animali
- Boxer: enorme cavallo da tiro alto diciotto palmi (circa 180 cm) e forte come due cavalli da tiro. E’ la vera ruota motrice della fattoria, anche se la striscia bianca sul muso gli dava un’aria stupida
- Trifoglio: insieme a Boxer è un imponente cavallo da tiro, una giumenta di mezza età
- Muriel: capra bianca
- Beniamino: asino il più vecchio e col carattere peggiore di tutta la fattoria, molto amico di Boxer nonostante tutto
- Mollie: stupida e vanitosa puledra che tirava il calesse di Jones prima della ribellione
- La gatta: è fondamentalmente la scansafatiche del gruppo che casualmente scompare quando c’è da lavorare e riappare quando c’è da mangiare
- Mosè: corvo addomesticato
- Le galline: qui se ne enfatizza la stupidità, in quanto vengono rappresentate mentre ripetono ciò che viene detto loro di ripetere
- Palladineve: giovane maiale che diverrà il capro espiatorio di ogni male della fattoria dopo l’ascesa di Napoleone
- Napoleone: giovane verro (maiale pezzato) della fattoria di razza Berkshire, che al dunque accentra sotto di se tutto il potere con astuzia e cupidigia ripristinando di fatto la situazione che si aveva con gli umani
- Piffero: uno dei maiali da ingrasso della fattoria la sua abilità nel parlare e convincere gli altri era impareggiabile
- Minimis: maiale avvezzo alla composizione di canti e poesie che inizia a far parte del gruppo di Napoleon dopo la cacciata di Palladineve
- Occhiorosa: porcellino incaricato di assaggiare i pasti del “Capo, il Compagno Napoleone”
GLI UOMINI
- Signor Jones: proprietario originale della Fattoria Padronale, che alla fine morirà nella miseria
- Signor Freddrick: un uomo duro e astuto è il proprietario di Rubaterre
- Pilkingtin: proprietario di Boscodivolpe, era un indolente gentiluomo di campagna che amava la caccia e la pesca più del lavoro
- Signor Lagna: avvocato di Willingdon
TERMINI & NOMI
- Splendore di Willingdon: nome da concorso del Vecchio Maggiore
- Middle White: razza di maiali da concorso alla quale appartiene il Vecchio Maggiore
- Animalismo: sistema di pensiero messo a punto dai tre maiali dopo la morte del Vecchio Maggiore
- Compagno: modo in cui inizialmente tutti gli animali si chiamavano tra di loro
- Montagna di Zucchero Candito: luogo in cui tutti gli animali andavano dopo la morte, almeno secondo le voci che vennero fatte circolare nella fattoria
- Osteria del Leone Rosso: si trova a Willingdon e il Signor Jones ci si reca per bere (troppo)
- San Giovanni: festa che cade il 24 giugno e si festeggia insieme al solstizio d’estate
- Ribellione: cacciata dell’Uomo dalla fattoria
- Fattoria degli animali: modo in cui viene ribattezzata la “Fattoria Padronale” dopo la rivolta contro gli esseri umani. Il nuovo nome fu scritto da Palladineve al posto del precedente
- Bandiera: verde come i prati d’Inghilterra zoccolo e corno bianchi simbolo della Futura Repubblica degli Animali, anche se alla fine rimase solo il verde
- Bestie d’Inghilterra: canto simbolo della Rivoluzione
- Boscodivolpe: podere trascurato confinante con la Fattoria degli Animali
- Rubaterre: altra fattoria più piccola di Boscodivolpe e meglio amministrata rispetto a quest’ultima, confinante con la Fattoria degli Animali
- Animale Eroe di Prima Classe: onorificenza “militare” che venne conferita a Palladineve e a Boxer si trattava di una “medaglia d’ottone” (vecchie borchie dei finimenti)
- Battaglia della Stalla: dodici di Ottobre
- Anniversario della Ribellione: 25 Giugno (una delle due occasioni in cui si sarebbe indossata la medaglia per Animale Eroe di Prima Classe:
- Animale Eroe di Seconda Classe: per chi catturerà Palladineve, accusato di aver distrutto il mulino
- Black Minorca: razza a cui appartengono le tre galline che danno origine alla prima “rivolta” dopo la cacciata di Jones
- Mulino Napoleone: nome con cui venne battezzato i mulino che con estrema fatica venne costruito dagli animali
- Battaglia del Mulino a Vento: invasione degli uomini che invidiosi dell’andamento della fattoria ne distrussero il primo mulino con dell’esplosivo
- Verro: razza di maiali dal manto pezzato a cui appartiene Napoleone
- L’Ordine della Bandiera Verde: onorificenza che Napoleone si auto assegna dopo la Battaglia del Mulino a Vento
- Manifestazione Spontanea: marcia imposta da Napoleone a una data ora, di fatto era una celebrazione del Compagno Napoleone
I 7 COMANDAMENTI originali
- 1. Tutto ciò che va su due gambe è nemico
- 2. Tutto ciò che va su quattro gambe o possiede le ali è amico
- 3. Nessun animale indosserà vestiti
- 4. Nessun animale dormirà in un letto
- 5. Nessun animale berrà alcolici
- 6. Nessun animale ucciderà un altro animale
- 7. Tutti gli animali sono uguali
Titolo originale (tedesco): Animal Farm
Autore: George Orwell
Prima pubblicazione: 1945
Prima pubblicazione in Italia: I edizione Mondadori 1947
La mia edizione: XXVIII ristampa Mondadori 2009
Editore italiano (la mia edizione): Mondadori
Collana: Classici moderni
Genere: Racconto breve
Numero di pagine: 112
Preceduto da: Una boccata d’aria (Coming Up For Air, 1939)
Seguito da: • 1984 (Nineteen Eighty-Four, 1948)
CAPITOLI
- 1. Capitolo primo
- 2. Capitolo secondo
- 3. Capitolo terzo
- 4. Capitolo quarto
- 5. Capitolo quinto
- 6. Capitolo sesto
- 7. Capitolo settimo
- 8. Capitolo ottavo
- 9. Capitolo nono
- 10. Capitolo decimo
da Thinka | 4 Dicembre 2020 | Books, Growth, Racconto breve, Ragazzi
Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry venne pubblicato nel 1943 e da allora viene letto dai bambini e da quegli adulti che si ricordano, che una volta lo sono stati.
La prima volta che lessi Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry non lo capii davvero. Mi parve anzi una lettura obbligata e sopravvalutata.
La verità è che all’epoca ero troppo acerba per comprenderlo, e non avevo un “altro adulto” al mio fianco a tentare di spiegarmi qualcosa, che con il mio metro di allora probabilmente non avrei comunque capito.
Era il Maggio del 2014.
Nel 2020, anno in cui decido di riprendere in mano vecchie letture, approcciandomi a queste come fosse la prima volta, mi ritrovo a comprenderne il significato profondo, quello che ha reso Il piccolo principe, uno dei bambini (libri) più famosi al mondo, la cui storia viene letta dagli adulti e spiegata dai bambini.
Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
(Ma pochi di essi se ne ricordano).
Il bambino biondo, protagonista di questo racconto breve è, nella mia chiave di lettura (perché ad oggi non ho avuto il piacere di confrontarmi ne’ con adulti ne’ con bambini, su questa lettura), non il bambino che c’è in ciascuno di noi, quanto piuttosto una lente, un consigliere, che ci permette di vedere la realtà di quella che è la nostra vita, la sua essenza nel momento in cui la priviamo delle sovrastrutture.
Ecco appunto cosa rappresentano l’elefante dentro un boa,
“E’ un cappello”.
Mi abbassavo al suo livello
e la pecora che dorme dentro la sua scatola…
Questa è soltanto la sua casetta. La pecora che volevi sta dentro.
… non tutto infatti può essere visto con gli occhi!
Quando uno vuole una pecora è la prova che esiste.
L’astronomo turco invece rappresenta la mancanza assoluta di fede, la necessità di conoscere esclusivamente attraverso prove empiriche, che vengono opportunamente catalogate con serie di lettere e numeri, riducendo ogni esperienza a un “punto” su una lista, ben etichettato e schematizzato.
Ecco perché un pianeta come quello del piccolo principe non avrebbe mai potuto chiamarsi “Il pianeta del piccolo principe” ma è stato chiamato asteroide B612.
Però fate una prova: voi, quale tra i due “nomi”, vi ricordate davvero?
Ovviamente solo un bambino può far dono ad un adulto di una lente così potente nella sua semplicità, perché appunto gli adulti, noi adulti,
- siamo troppo impegnati a dettare regole (Re),
- a vantarci dei nostri risultati o presunti tali (Vanitoso),
- a girarci dall’altra parte di fronte alle cose davvero importanti (Ubriacone),
- a contare e quantificare cose che non sono nate per essere contate (Uomo d’affari),
perché credeva che contandole gli sarebbero appartenute
- ▪ a fare e rifare qualcosa, incapaci di adeguare quel qualcosa alla nuova vita che stiamo vivendo (Lampionaio),
- ad avere troppa paura per vivere davvero (Geografo).
La stessa Rosa, rappresenta non solo l’amore (con tutte le sue imperfezioni), quanto piuttosto la casa, l’appartenenza, la cura.
Soprattutto la capacità di tutto questo di essere totalizzante, quasi ingombrante nella vita di ciascuno di noi. Tant’è che a volte siamo spinti ad allontanarci, a intraprendere un viaggio che possa mostrarci altro,
Io credo che egli approfittò,
per venirsene via,
di una migrazione di uccelli selvatici.
dandoci in questo modo la possibilità di renderci conto, che tutto ciò di cui abbiamo bisogno, è di prenderci cura l’uno dell’altro in maniera vicendevole, dimostrandoci amore.
L’essenziale è invisibile agli occhi.
Tutto il resto, in effetti, è utile solo nel momento in cui ci consente di assolvere a quest’unico vero compito.
Un mondo meraviglioso,
fatto di poche cose ma tutte importanti.
Ecco che il piccolo principe ha bisogno solo di acqua per innaffiare il suo fiore, una campana e un paravento per proteggerlo e garantirgli un futuro, una spazzola per spazzare i camini di tutti i suoi vulcani, una pala per estirpare i pericolosi baobab, e la forza unita alla costanza per fare tutto questo. Ma soprattutto la presenza e la pazienza.
Bisogna essere molto pazienti.
La stessa volpe glielo insegnerà: la cosa più importante non è essere costantemente gli uni insieme agli altri, ma esserci nel momento in cui si è detto che ci saremmo stati!
Questo crea fiducia, legame e certezza che l’atro ci sarà per noi e noi per l’altro, perché saranno le azioni e non le parole, ad aver costruito e consolidato questa unione.
Le parole sono una fonte di malintesi.
In questo modo ci addomesticheremo e scopriremo che la stessa attesa, il tempo che ci tiene separati, in realtà ci unisce e ci rende consapevoli della fugacità del tempo e quindi ancora più capaci di apprezzare il dono di ogni singolo istante.
Scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai
a che ora prepararmi il cuore…ci vogliono i riti.
E ancor ci insegna che ogni giorno, ogni momento può speciale, se noi gli diamo questa possibilità.
“Che cos’è un rito?”
É quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni,
un’ora dalle altre ore.
Sulla Terra, soprattutto quando si diventa adulti, non è facile essere costanti, e questo il lampionaio ce lo insegna bene.
Ma c’è un’altra qualità che il biondo bambino di sei anni ci insegna a suo modo, ed è la caparbietà. Quella dote che ci consente di ottenere ciò che vogliamo, e che è per noi irrinunciabile; anzi, quasi propedeutico alla nostra stessa capacità di continuare a vivere.
Il piccolo principe non rinunciava mai a una domanda che aveva fatta.
Certo è, che c’è sempre un giusto prezzo da pagare, qualcosa da dare o da accettare in cambio di qualcosa di davvero speciale, un sacrificio per cui vale la pena.
Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle.
Così come è altrettanto importante essere ragionevoli e chiedere, tanto a noi stessi quanto agli altri, soltanto ciò che è in nostro (o in loro) potere raggiungere,
Se ordinassi a un generale di trasformarsi in un uccello marino,
e se il generale non ubbidisse, non sarebbe
colpa del generale. Sarebbe colpa mia.
perché non si può ottenere l’impossibile, a meno che non sia possibile.
Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare.
(…)
L’autorità riposa prima di tutto sulla ragione.
(…)
Ho diritto a esigere l’ubbidienza perché i miei ordini sono ragionevoli.
Ma se tutto questo sembra in un qualche modo fattibile, e alla portata di tutti, c’è qualcosa che è ad appannaggio di pochi: la saggezza. Quella capacità di giudicare bene ed equamente non soltanto gli altri ma anche, e soprattutto, se stessi.
“Giudicherai te stesso”, gli rispose il re. “É la cosa più difficile. É molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene è segno che sei veramente un saggio”
Ed è chiaro che solo dopo un’onesta valutazione possiamo ammirare qualcosa o qualcuno, ma soprattutto ciò che dobbiamo assolutamente, che ciascuno di noi dovrebbe fare, è ammirare se stesso, poiché solo questo sentimento può darci la misura di che genere di persone siamo, con noi stessi e con gli altri.
Ti ammiro, ma tu che te ne fai?
Probabilmente così come giudicare se stessi è la cosa più difficile, anche ammirare se stessi richiede il medesimo sforzo e impegno, poiché per guardare gli altri possiamo volgere lo sguardo altrove, se ciò che stiamo osservando non ci piace.
Ma tutt’altra faccenda è quando guardiamo noi stessi, poiché se quello che vediamo riflesso nello specchio non ci piace, allora l’unica cosa che si può fare è impegnarci a cambiare la nostra essenza così da apprezzarne, ammirarne quindi, il riflesso.
Chiunque sia in grado di fare questo, è una persona di grande valore.
E per farci capire l’importanza di affrontare ciò che la vita ci mette davanti, ci imbattiamo nella figura dell’ubriacone il quale piuttosto che affrontare i propri errori, preferisce girarsi dall’altra parte (annebbiarsi la vista bevendo), per non vedere i propri errori o la propria incapacità.
Per dimenticare che ho vergogna
Siamo costantemente messi davanti a una scelta di qualche genere ed in questo caso la scelta è il cambiamento: continuare ad agire come si è sempre fatto (bottiglie vuote) o cambiare, e quindi ottenere qualcosa di diverso (bottiglie piene)?
Ma come ci insegna il piccolo principe, non è cosa per tutti.
Molto interessante, e soprattutto attuale è la figura dell’uomo d’affari.
Sono un uomo serio, io, non mi diverto con delle frottole.
Si potrebbe pensare che l’uomo d’affari sia avido, ebbene lo è! Tuttavia la sua caratteristica preponderante è l’egoismo, la sua volontà di possedere qualcosa, per la sua unica soddisfazione, anche a costo di privare chiunque altro di quel qualcosa, pur non avendone diritto alcuno.
Possedere l’impossibile è un ossimoro talmente palese, che solo qualcuno di davvero “accecato” non se ne renderebbe conto. Ma cosa aspettarsi da una persona che è cieca anche di fronte alle sue stesse esigenze,
(…) non sono stato disturbato che tre volte.
La prima volta (…) da una melolonta
(…)
la seconda da una crisi di reumatismi.
Non mi muovo mai (…) La terza volta…eccolo!
e che vive i propri bisogni fisiologici come il camminare, il sorridersi l’un l’altro, il relazionarsi…come una distrazione, qualcosa da cui fuggire?!
E poi, viene da chiedersi a cosa serve possedere qualcosa che non ha bisogno delle nostre cure, o verso la/e quale/i non abbiamo intenzione di offrirgliele?
Per fortuna il piccolo principe è diverso, Lui si occupa di ciò che possiede!
Difficile scegliere quale sia l’insegnamento più importante che troviamo ne Il piccolo principe, o quale sia il personaggio/simbolo che ciascuno di noi preferisce.
Eppure due sono quelli che da adulto insegnerei ad un bambino, e corrispondono alla figura del lampionaio e del serpente (e chissà, che con l’occasione, si scongiuri anche una delle paure più diffuse tra gli adulti).
Il lampionaio ci insegna da un lato la costanza e dall’altro la capacità di modellare le nostre azioni, in base ai cambiamenti che si manifestano nella nostra vita. Ma l’insegnamento più importante, è l’amore per ciò che fa ogni giorno,
E’ una bellissima occupazione, ed è veramente utile, perché è bella
[e il mondo ha un enorme bisogno di bellezza]
e il lampionaio, quello che fa, lo fa davvero tante volte, dato che il sole tramontava ben
millequattrocentoquaranta (volte) nelle ventiquattro ore!
e soprattutto la capacità di rendere ciò che si fa, utile anche ad altri oltre che a noi stessi, poiché se così facessimo tutti, ciascuno si occuperebbe dell’altro e avremmo tutti ciò di cui abbiamo bisogno e vogliamo, costruendo e vivendo un mondo davvero felice e sazio di qualunque cosa,
Forse perché si occupa di altro che non di se stesso.
nella giusta misura.
(…) i grandi (…) si immaginano di occupare molto posto.
Si vedono importanti come dei baobab.
La “lezione” del serpente non sta invece nella sua velenosa pericolosità, nonostante ciò corrisponda a realtà, quanto piuttosto nell’imparare a non giudicare mai dalle apparenze…
(sono) sottile come un dito (…) Ma sono più potente di un dito di un re.
…e a ben pensarci, noi adulti stiamo (leggendo e capendo questo racconto, in bilico tra l’autobiografico e il fantastico) prendendo lezioni di vita da un biondo principe bambino di sei anni, che vive su un asteroide con tre vulcani (di cui uno spento, “ma non si sa mai..”) e una rosa!
E poi c’è una domanda davvero importante che il piccolo principe fa al serpente
“Ma perché parli sempre per enigmi?”
“Li risolvo tutti”
E quale premio migliore se non quello di tornare a casa, dopo avere trovato risposta a importanti domande, aver fatto nuove scoperte e conquiste?
Gli uomini? (…) non hanno radici e questo li imbarazza molto.
Casa è ciò che quando manca, (e un soldato in missione, quale fu Antoine de Saint-Exupéry, lo sa bene) manca davvero. Ma che quando c’è, ci ripaga di ogni sforzo fatto, premiandoci (anche) con un tramonto, o più d’uno.
In fondo sarebbe davvero meraviglioso poter vedere ben quarantatré tramonti in un solo giorno,
Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!
e per noi che abitiamo sul pianeta Terra, il settimo che il piccolo principe visita, e dove incontra tra gli altri anche il pilota, deve essere un’esperienza simile a quella di guardare il cielo quando c’è l’aurora boreale.
Asteroidi visitati
- 325: il primo asteroide, il Re vestito di porpora e d’ermellino
- 326: il secondo asteroide, il Vanitoso
- 327: il terzo asteroide, l’Ubriacone
- 328: il quarto asteroide, l’Uomo d’affari
- 329: il quinto asteroide, il Lampionaio
- 330: il sesto asteroide, il Geografo
- Terra: il settimo pianeta
Personaggi &…
- Il piccolo principe
- Il pilota
- La rosa
- il Re vestito di porpora e d’ermellino
- il Vanitoso
- l’Uomo d’affari
- il Lampionaio
- il Geografo
- La volpe
- Il serpente
Titolo originale: Le Petit Prince
Autore: Antoine de Saint-Exupéry
Prima pubblicazione: 1943
Prima pubblicazione in Italia: 1949
La mia edizione: 2007
Editore italiano: Bompiani
Collana: –
Genere: Racconto, Ragazzi
Numero di pagine: 122
Preceduto da: Pilota di guerra
Seguito da: Lettera a un ostaggio
da Thinka | 28 Ottobre 2020 | Books, Racconto breve, Romanzo
La storia del Signor Sommer di Patrick Süskind è un racconto breve assolutamente frizzante, che ci parla della vita e ci invita a viverla.
L’intero romanzo è un confronto tra la vita che inizia a sbocciare e quella che si accinge a finire. L’autore inserisce infatti l’iconologia delle tre gambe, per affrontare il tema della vecchiaia in maniera ironica; e introduce il simbolo della bicicletta, che riesce a stare in piedi proprio in funzione del principio di conservazione della quantità di moto, associando così alla “gioventù” una sensazione di dinamicità.
allora in effetti avrei potuto volare,
se solo l’avessi voluto con determinazione
e avessi tentato sul serio
Ed è abbastanza divertente il fatto che per definizione il termine “storia”, indica una narrazione dettagliata rispetto all’argomento scelto per la narrazione; invece nel caso del Signor Sommer alla fine della storia, non ne sappiamo comunque nulla, come del resto tutti i suoi compaesani.
Ciò nonostante è la stranezza di questo personaggio “alla Süskind”, che ci fa comunque affezionare a lui.
In effetti il Signor Sommer, è un pretesto per parlare di quelli che sono i piccoli grandi drammi della vita, quelli che stanno sotto gli occhi di tutti e che nessuno vede più,
come la collina della scuola, o il campanile della chiesa.
Invece il Signor Sommer tutti, ma proprio tutti, lo vedevano! Era sempre in giro, in qualsiasi stagione e con qualunque tempo, persino quella volta che grandinò come non accadeva da ventidue anni,
In seguito i giornali scrissero che nella nostra regione
non s’era vista una bufera simile da ventidue anni.
e dopo aver ricevuto, un evidentemente non gradito passaggio in auto, rispose a padre e figlio:
“Ma lasciatemi in pace una buona volta!”
Si dice l’ovvio dicendo che Süskind i suoi personaggi li sa creare bene (come ben si è appurato ne Il Profumo), e questo Signor Sommer è il vento: inafferrabile, inconoscibile, inarrestabile.
Sommer è il viaggio, la continua partenza, il continuo ritorno
Giulio Nascimbeni, Corriere della Sera
E’ la linfa vitale che scorre dentro ogni cosa, anche dentro quegli alberi sui quali al giovane narratore e co-protagonista (di cui non sapremo mai il nome) piace così tanto arrampicarsi e testare la prima legge di caduta dei gravi di Galileo Galilei.
C’era quiete tra gli alberi, si poteva stare in pace.
…
…soltanto il vento e il fruscio delle foglie e il crepitio lieve tronchi…
Leggendo questo racconto breve, viene in mente l’indovinello della sfinge: “Qual’è quell’animale che cammina con quattro zampe all’alba, poi con due e al tramonto con tre?”
Ecco infatti che mentre sullo sfondo, c’è un onnipresente vecchietto strampalato che volge al termine della sua vita, in prima fila c’è il nostro narratore, che iniziando a raccontare partendo dall’età di sette anni, ci porta con lui nelle sue esperienze di vita. Ci racconta del suo primo amore che corrisponde al nome di Carolina Kükelmann, dei gelati che non ha comprato al chiosco della signora Hirt perché la paghetta era (per lui, ma non per il fratello maggiore), un mito. Delle lezioni di pianoforte con la signorina Marie-Luise Funkel, che solo per arrivarci era un’impresa dovendo superare il cane della dottoressa Haurtlaub. Ci racconta di suo padre e della sua avversione per gli stereotipi,
questa espressione è uno stereotipo
di sua madre, ma anche del fratello maggiore, che ha una bicicletta a tre marce (e della giusta altezza), mentre lui si deve accontentare della vecchia bicicletta della madre, che per riuscire ad andarci sopra, si è dovuto inventare un sistema tutto suo.
E poi, ovviamente (perché questo si! che fa parte della vita di tutti), ci racconta che sono degli ostacoli che solo quando siamo pronti (per età e per esperienza) possiamo e quindi riusciamo ad affrontare. E ne è un esempio quel benedetto fa diesis o il timbro sulla tessera della biblioteca che attestava i suoi sedici anni, o il fatto che in ultimo riesce a stare in equilibrio sul portapacchi della bicicletta, mentre lei andava (per la legge già citata).
l’agognato timbro rosso “sedici compiuti”
La storia del Signor Sommer, alla fine è quindi un libro sulla vita e sulle sue stagioni, sulla capacità di affrontare le sfide e reagire ai dolori; ma ancor di più è un romanzo che, nella sua forma di racconto breve, ci insegna (o meglio ci ricorda!) che i sogni sono alla base, ma sono solo il principio.
Ma erano solo sogni, e come tutti i sogni non bastavano ad appagarmi
Il finale nella sua drammaticità, non ci lascia tristi perché lo si è capito leggendo questo libro di 131 pagine illustrazioni comprese (di Sempé), che la morte fa parte della vita; anzi la celebra ed è un monito ad essere ed agire da vivi, fintanto che lo siamo.
PERSONAGGI
PRINCIPALI
- Maximilian Ernst Ägidius Sommer: il bizzarro Signor Sommer che cammina continuamente e con qualunque tempo con il suo bastone, e uno zainetto con solo pane e burro, e una cappa da pioggia
- Narratore e co-protagonista: di cui non sapremo mai il nome
ALTRI
- Signora Sommer: fabbricava bambole di vario genere da casa poi le spediva settimanalmente all’ufficio postale del paese
- Carolina Kükelmann: ragazzina che piace al nostro protagonista
- Rita Stanglmeier: signora che abita al paese
- Dottor Luchterhand: personaggio solo citato, che spiega alla madre del narratore e co-protagonista l’ipotetica claustrofobia del Signor Sommer
- dottoressa Haurtlaub: personaggio solo citato, è la proprietaria del cane che terrorizza i viandanti specialmente se in bicicletta
- Signora Marie-Luise Funkel: madre probabilmente centenaria, dell’insegnante di pianoforte. Se gli allievi della figlia suonano bene alla fine della lezione gli da un biscotto
- Signorina Marie-Luise Funkel: insegnante di pianoforte che ha insegnato a tutta la famiglia del narratore e co-protagonista
- Pittore Stanglmeier: personaggio solo citato, affitta il suo seminterrato al Signor Sommer e a sua moglie, sin da quando lei arrivò in autobus e lui a piedi
- Signora Stanglmeier: moglie del pittore
- Cornelius Michel: miglior amico del narratore e co-protagonista
- Rita e suo marito: personaggi solo citati che si trasferiscono nel seminterrato del pittore Stanglmeier, dopo la morte della Signora Sommer
- Signora Hirt: è una gelataia che ha un suo chiosco noto come “Il chiosco della Signora Hirt”,
LUOGHI
- Unternsee: il paese dove vive il narratore e co-protagonista
- Obernsee: paese vicino a quello di Unternsee, in realtà non è che i due si distinguessero molto per confini ben precisi
- La scuola: scuola su una collina frequentata dai ragazzi sia di Unternsee che di Obernsee
- Casa: la casa del narratore
- La casa della signora Fünkel: la casa dove al narratore vengono impartite le lezioni di pianoforte
- Casa di Cornelius Michel: casa del migliore amico del narratore
- Seminterrato del Pittore Stanglmeier: sarà la casa del Signor Sommer e di sua moglie, sin da quando si trasferirono senza dare troppo nell’occhio
- Sottotetto del pescatore Riedl: la nuova casa del Signor Sommer in cui si trasferisce a seguito della morte della moglie
TERMINI & NOMI
- Leggi del moto circolare
- Principio di conservazione della quantità di moto
- Prima legge di caduta dei gravi di Galileo Galilei
- Studi di Czerny
- Hässler: compositore da cui gli esercizi per pianoforte, più strutturati
- Diabelli: compositore da cui gli esercizi per pianoforte, più strutturati
Titolo originale (tedesco): Die Geschichte von Herrn Sommer
Autore: Patrick Süskind
Prima pubblicazione: 1991
Prima pubblicazione in Italia da TeaDue: Maggio 1994
La mia edizione: IV Edizione –2003
Editore italiano: Tea Due (In concessione da Longanesi & Co)
Collana: –
Genere: Romanzo, Racconto breve
Numero di pagine: 131
Preceduto da: Il Piccione (1987)
Seguito da: Ossessioni. Tre racconti e una riflessione (1995)
da Thinka | 25 Settembre 2020 | Books, Racconto breve
La piccola Parigi è un racconto breve scritto da Alessandro Tonoli. E’ un inno alle piccole cose, ma anche a quelle grandi come l’amore e la vita, insegnandoci che la verità sta tutta nelle proporzioni e dal punto di vista, dal quale “qualcosa” viene osservato.
E’ il secondo libro dell’autore, che colpisce per la sua intensità e per il suo tono narrante, che fa uso di una perfetta punteggiatura ritmica, quasi teatrale, che porta il lettore a sentire il suono delle parole nella propria mente, proprio come se nonno Francesco fosse lì e noi fossimo la piccola Chiara.
Nell’ora che occorre, poco più poco meno, per leggerlo diventiamo parte di questo racconto, che nella sua irrealtà immaginifica, è così profondamente autentico, e genuino.
La piccola Parigi, la bambina dai boccoli dorati di rosso vestita, rappresenta la gioia di vivere, la speranza, l’amore, la gratitudine…è l’essenza della vita stessa e non è certo un caso che chiunque, che nella realtà o nella finzione l’abbia incontrata, non abbia potuto che fare sua quella stessa dirompente vitalità.
Per questo
Cabiate era più bella che mai pur non avendo un solo fiore in più,
o una torre che fosse più alta di un centimetro rispetto al solito.
perché cambiarono le persone.
E con il loro cambiare, anche il loro modo di stare l’uno con l’altra cambiò; ecco perché i giovani si innamorarono al punto di sposarsi, ecco perché i vecchi smisero di sentire il dolore degli anni, e poterono finalmente godere del sole che gli scaldava le ossa.
Per non parlare della gratitudine dimostrata alla stessa terra che ci sostiene, e che calpestiamo senza neanche accorgercene. Finalmente siamo capaci (perché qualcuno ce lo ha insegnato per la prima volta), di dimostrarle gratitudine chiedendole scusa a fine giornata, per averla eventualmente offesa col nostro calpestio.
Ecco perché la piccola Parigi, quella bambina venuta da chissà dove e scomparsa all’improvviso proprio come era venuta, saltellava invece di camminare e parlava con le piante e con gli alberi, riuscendo persino a cogliere un idioma che non era il suo: il francese.
Ed ecco che in una terra lontana la bimbetta, scoprì che (a suo percepire) era sicuramente Parigi, il luogo dove la primavera nacque per poi diffondersi altrove.
É come spiegare cosa viaggia nello sguardo di due innamorati.
E fu talmente rapita da questa rivelazione, che decise di piantare il seme della primavera, il seme dell’amore, anche a Cabiate e che ci si creda o meno, quella creatura un po’ reale un po’ magica, riuscì a far crescere una piccola Parigi, proprio lì dove l’età adulta insegnava il valore della lamentela più che della gratitudine e dell’amore.
Non si sa come… ma lei innaffiava, e l’amore dietro di lei, sbocciava.
E non erano lacrime di rabbia o di dispiacere. Erano solo lacrime.
Lacrime di un pianto giusto. Lacrime spese per un desiderio
Certo a Cabiate, alcuni furono più grati di altri, dell’aver avuto la possibilità di incontrare una simile creatura e certo la famiglia di Chiara, probabilmente, era quella che più degli altri doveva la sua felicità a quel batuffolo saltellante di gioia.
Siete davvero belli. Ma due più di voi
PERSONAGGI
- la piccola Parigi: la bambina dai boccoli dorati di rosso vestita, arrivata da chissà dove a Cabiate, rappresenta: la gioia di vivere, la speranza, l’amore, la gratitudine…è l’essenza della vita stessa nonostante abbia solo una decina d’anni eppure con due occhi grandi, azzurri vitrei, che nascondono molte cose. L’appellativo piccola Parigi, gli viene riservato dagli abitanti di Cabiate, al ritorno del suo viaggio a Parigi, in quanto a onor del vero quella bimbetta non ha mai rivelato a nessuno, nemmeno a Francesco il suo vero nome
- Francesco: il nonno di Chiara, che ha avuto la fortuna di incontrare davvero? la piccola Parigi all’età di circa sedici anni
- Chiara: Chiaretta o Chiaraccia, come era solito chiamarla suo nonno Francesco, è una bambina di dieci anni
- Nonna: la moglie defunta di nonno Francesco, compare nel racconto solo in forma di ricordo e di fotografie
- Italo: vecchietto amico di nonno Francesco
- Sara: quella che siede al primo banco, nella stessa classe di Chiara; è evidente che quest’ultima non la stimi molto, né che siano amiche
- Andrea Montelli: un ragazzino che all’epoca era più piccolo di nonno Francesco di qualche anno; un vero demonio, una vera peste, un vero “stronzo”.
- Sil e Lori: prima coppia citata ,che ha deciso di sposarsi dopo essersi innamorata come tante altre, grazie alla piccola Parigi
- Gianna e Roberto: seconda coppia citata ,che ha deciso di sposarsi dopo essersi innamorata come tante altre, grazie alla piccola Parigi
LUOGHI, TERMINI & NOMI
- Cabiate: piccola città, dove è ambientato il racconto
- Parigi: città in cui la bimbetta bionda, sparisce all’improvviso e dalla quale tornerà con il sogno di creare una piccola Parigi, proprio a Cabiate
- il seme della piccola Parigi: si tratta in realtà di souvenir che la bimbetta, riporta a Cabiate dopo il suo viaggio a Parigi
Titolo originale: La piccola Parigi – Leggende di Cabiate
Autore: Alessandro Tonoli
Prima pubblicazione: 2015 (e-book)
Prima pubblicazione in Italia: 2015 (e-book)
Prima pubblicazione in Italia cartacea: Dicembre 2019
La mia edizione: Dicembre 2019
Editore italiano: GWMax
Collana: –
Genere: Racconto breve
Numero di pagine: 64
Preceduto da: Quel che rimane incastrato nel vento
Seguito da: Il mondo prima di pesare 21 grammi
La mia recensione *****
RACCONTO MERAVIGLIOSO
Questo racconto breve è meraviglioso!
Ha la capacità di rendere vivo tutto quanto si legge, trasportandoti tra le sue pagine fino a farti diventare, la Chiara che ascolta suo nonno narrarle una storia, alla quale tanto lei come personaggio quando noi come lettori, crederemo a prescindere che sia vera o fantastica.
E’ un racconto di amore, di affetto profondo, di vita autentica, forse proprio per questo si è usato il pretesto de “La piccola Parigi”: per spiegare dinamiche, che difficilmente si riescono a trasmettere con un lessico semplice, tanto da farlo capire ad un bambino e al contempo potente, al punto da scuotere l’animo dell’adulto.
E’ un libro di poco più di cinquanta pagine, e in poco più/poco meno di un ora riesce a farci suo; consiglio la lettura in un momento della giornata tranquillo dove possiamo effettivamente immergerci tra le sue pagine.
Letto questa seconda pubblicazione di Alessandro Tonoli, ora non mi resta che leggere sia il suo primo che il terzo libro in uscita.
E concludo dicendo grazie all’autore, perché gli adulti hanno bisogno di leggere, immaginare e ricordare storie come questa, che siano vere o immaginifiche.